Burnout: di chi è la colpa?

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Burnout: di chi è la colpa?

Sindrome da burnout e colpevolizzazione dell’individuo: l’importanza di comprendere la responsabilità dell’ambiente lavorativo.

Vittima o colpevole?

Di fronte al fenomeno del burnout, è facile che la società sia portata ad accusare l’individuo della sua situazione di disagio. In questa sede proveremo a capire perché questo accade.

«Qualsiasi sia il nostro incarico, la qualità del lavoro svolto è inevitabilmente condizionata dalle emozioni negative»

Lavoro ed emozioni

Quando le emozioni negative ci pervadono, è molto probabile che il rendimento lavorativo ne risenta parecchio. Rabbia, tristezza, frustrazione: qualsiasi sia il nostro incarico, la qualità del lavoro svolto è inevitabilmente condizionata dalle emozioni negative.

Come afferma Christina Maslach, «l’emozione non contraddistingue semplicemente la trasformazione dall’impiego lavorativo al burnout, ma ne diventa mediatrice. […] I vissuti emozionali della rabbia o dell’ansia sono deleteri per la qualità della prestazione lavorativa.» [1]

Anche il lavoro d’equipe si disintegra e di conseguenza la qualità del servizio al cliente/utente precipita.

Sentimenti nel contesto sociale

Il fatto che il ruolo importante delle emozioni in ambienti lavorativi non venga sempre riconosciuto è perché ogni lavoratore è definito in base ad abilità e risultati. I sentimenti sono considerati come qualcosa di personale di cui l’individuo ha la piena responsabilità.[2]*

Ma è necessario non ignorare che le emozioni sono anche funzione del contesto sociale. Difatti esse nascono dai nostri contatti col mondo esterno e determinano le nostre reazioni. Si tende spesso ad incolpare esclusivamente l’individuo, come se il burnout fosse frutto di una predisposizione genetica o di una personalità particolarmente depressa o debole.

In realtà è altamente riduttivo e fuorviante ignorare il contesto in cui i lavoratori operano. Soprattutto se ci riferiamo a tipologie lavorative legate alle politiche sociali. Basti pensare a quanto è complicato dal punto di vista emotivo aver a che fare con persone che soffrono di disagi sociali o socio-sanitari.

Riorganizzare gli ambienti lavorativi

Dunque, è necessario comprendere la natura lavorativa dei disagi legati alla sindrome da burnout.

Può capitare che un’azienda, un ente, una qualsivoglia organizzazione, riesca a ridimensionare una problematica riducendo risorse destinate agli uffici o ai reparti. A loro volta questi ultimi trasferiranno ancor più in basso ulteriori problematiche, che ricadranno sui singoli individui.

È quello che la Maslach definisce “effetto a cascata”: «la tensione scende come una cascata partendo da un contesto politico ed economico generale, passando attraverso politiche regionali, l’organizzazione locale e, infine, si riversa sui singoli individui.»[3]

In conclusione, nonostante sia l’individuo a sperimentare il burnout, il lavoro ne costituisce la causa principale. Sarebbe un gran passo in avanti se ogni datore di lavoro si preoccupasse di riorganizzare gli ambienti di lavoro al fine di prevenire lo stress. E i vantaggi sarebbero molteplici, distribuiti a più livelli, dato che un lavoratore felice è sicuramente un lavoratore produttivo. 

 



Note:

[1] C. Maslach e M. P. Leiter, Burout e organizzazione. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro, Erickson, Trento 2000, pp. 34

[2] Ib., pp. 35

[3] Ib., pp. 41


Se sei interessato a raccontare la tua esperienza o le tue riflessioni di assistente sociale siamo lieti di pubblicare un tuo articolo sul nostro blog. Per maggiori informazioni contatta la dott.ssa Serena Vitale (redazioneblog@progettofamiglia.org)
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