Servizio Sociale e conflitto: quale ecologia relazionale?

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Servizio Sociale e conflitto: quale ecologia relazionale?

Accezione neutra e positiva: risoluzione creativa, libertà, costruzione di legami sociali. Il conflitto: tensione dualistica del conflitto e ruolo mediatico della comunicazione.

Lo studio del conflitto

Di conflitto si occupano da sempre le scienze umane e sociali; la sociologia ne ha fatto un manifesto nell’opera di padri come Marx; la psicologia ne parla fin da Freud in termini di collegamento tra conflitti intrapsichici e comportamento; l’antropologia ne ha studiato le varie forme di gestione nei popoli; le religioni ne hanno sempre fatto una problematica centrale.

«Il conflitto non è né buono né cattivo, ma reale» 

Oltre i luoghi comuni

In generale possiamo definire il conflitto come la presenza di forze opposte, nei confronti di un determinato problema, mosse da divergenze di interessi; o, ancora più precisamente, mosse dalla percezione di divergenze di interessi.

Attraversando la storia possiamo percepire quanto il conflitto, già nell’antichità, non abbia avuto sempre un significato necessariamente di morte, di intolleranza, di avversione ma anche di bene, di nascita, di vita

Accezione neutra di conflitto

In Eraclito si fa forte l’idea di conflitto come motore delle cose e di forza costruttiva. Il filosofo greco esprimeva una concezione conflittuale della realtà, dove il processo che genera le cose non può che essere antinomico, in quanto gli opposti sono tra loro correlati: non si può intendere il mondo reale nella sua molteplicità (natura, società, individuo) se non all’interno di una logica oppositiva, pertanto tutte le cose accadono secondo contrasto e necessità

La sua è una visione che va verso la risoluzione creativa della discordia e dunque il conflitto non deve essere valutato come momento di appiattimento o viceversa di mortificazione e subbuglio. L’intima struttura della realtà, secondo Eraclito, è caratterizzata dall’unità degli opposti: giorno e notte; vero e falso; buono e cattivo.

Possiamo dunque dedurre, dalla posizione di Eraclito, un’accezione di conflitto neutra: il conflitto non è né buono né cattivo, ma reale

Accezione positiva

Secoli più tardi, in Europa, saranno Machiavelli e Spinoza ad affermare che il conflitto è una tendenza inevitabile nella vita degli individui ma comunque positiva perché indice di libertà.

Attorno a questi due pensatori, si apre un orizzonte assai originale di conflittualità: lo accolgono come momento necessario di sviluppo, differentemente da Aristotele e Platone secondo i quali il conflitto è un elemento da eliminare, un problema da risolvere. 

Anche il sociologo Georg Simmel[1] teorizzerà il ruolo positivo del conflitto inteso come fattore primario nella costruzione di legami sociali. Simmel identificherà due tendenze parallele e distinte degli esseri umani: una cooperativa e una individualistica, definendo così l’esistenza sociale dell’individuo come sostanzialmente ambivalente e fondata su due bisogni fondamentali, uno di appartenenza/identificazione (che lo spinge verso gli altri) e l’altro di distinzione. 

L’importante ruolo del conflitto

Nel conflitto si presenta questa tensione dualistica poiché gli atti conflittuali sono comunque interazioni ovvero riconoscimento reciproco tra le parti. Le cause dello scontro, per Simmel, sono rintracciabili non nel conflitto in sé ma nella cupidigia umana, nell’odio verso l’altro, nelle avidità antagoniste.

Il conflitto in questo senso svolge un ruolo “mediatico” della comunicazione, deve essere cioè considerato un momento importante sia per il mutamento, sia per lo sviluppo degli individui poiché il confronto aiuta a prendere coscienza di sé.

 


[1] Cotesta V., Bontempi M., Nocenzi M. (a cura di) (2010), Simmel e la cultura moderna, Morlacchi editore, Perugia.


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