Il Servizio Sociale Professionale nelle aree montane disagiate

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Il Servizio Sociale Professionale nelle aree montane disagiate

Lavoro di comunità, procedimento metodologico e attori di cambiamento. Lavoro sociale e pratica professionale. Servizio sociale, valori ed empowerment comunitario.

Utopia o realtà?

Non è facile per le persone cambiare idea su quello che potrebbe essere il loro nuovo ruolo nella comunità se queste ultime non vengono coinvolte in prima persona e riconosciute come fondamentali “fattori di cambiamento”.

Parlare di comunità e sforzarsi di immaginare un nuovo modello teorico che possa operare in piccole realtà rurali ai tempi della società liquida – individualista e globalizzata – può sembrare un’utopia, ma non solo è possibile, ci sono gli strumenti e rappresentano una preziosa ancora concettuale. In particolare, per chi quotidianamente lavora sul campo e vive le sofferenze dei piccoli contesti rurali. Occorre ripensare la prassi sperimentando con creatività tutti gli strumenti professionali a disposizione.

In Sardegna ad esempio, ma non diversamente da altre realtà della penisola, le zone interne sono caratterizzate da forti fragilità come l’isolamento, lo spopolamento, l’inadeguatezza delle infrastrutture e la disoccupazione; problematiche che incidono negli aspetti sociali con pesanti ripercussioni sulla qualità della vita.

Tuttavia, proprio le osticità di questi territori, hanno permesso ad importanti patrimoni culturali di salvaguardarsi dai modelli di vita imposti dalla globalizzazione per preservare modi di produrre agro-pastorali strettamente correlati alla dimensione comunitaria nella quale le persone vivono, e dalla quale, a mio avviso,  si deve ripartire. 

«Ecco perché ogni Assistente Sociale dovrebbe sapere cos’è il lavoro di comunità: non è una semplice metodologia, ma delle lenti con le quali vedere la complessità, scomporla e interpretarla per poter intervenire»

Le due facce della Comunità

In effetti il concetto di “comunità”, come Martini[1] stesso la definisce, ha una duplice accezione, quella di dimensione sociale micro e quella di qualità delle relazioni. Ed è proprio su quest’ultima che ci si deve soffermare.

La comunità è prima di tutto un insieme di soggetti che condividono aspetti significativi della propria esistenza e che, in forza di ciò, sviluppano un senso di appartenenza comunitaria il cui punto di forza sono le relazioni fiduciarie.

Come Martini afferma parlando proprio delle relazioni fiduciarie «Diversi soggetti possono essere considerati una comunità perché condividono, ad esempio, uno o diversi aspetti quali il territorio, il tetto, le radici, la storia, un progetto […]. È l’aspetto che viene condiviso dai diversi soggetti che determina l’interdipendenza e dà un contenuto al sentimento di appartenenza».[2] Si pensi ad esempio alla lotta per il prezzo del latte[3] di un anno fa: è stato il potere della comunità di pastori a dar vita ad un movimento che, condividendo sentimenti comuni di forte ingiustizia sociale, ha dato vita ad una serie di proteste partite in Sardegna e riprese poi in Sicilia e in altre regioni della penisola.

L’importanza del lavoro di comunità per l’Assistente Sociale

Ecco perché ogni Assistente Sociale dovrebbe sapere cos’è il lavoro di comunità: non è una semplice metodologia, ma delle lenti con le quali vedere la complessità, scomporla e interpretarla per poter intervenire. 

Come efficacemente afferma Volterani «Lo sviluppo sociale di comunità è la capacità di incrementare capitale sociale e coesione sociale di una comunità nella direzione da un lato di una maggiore densità relazionale e dall’altro nel far diventare la comunità risorsa per i cittadini»[4].

L’operatore di comunità, dunque, legge il potenziale della realtà, la interpreta, e la traduce in una tecnica che parte dai punti di debolezza e li trasforma in motori di cambiamento con risultati sorprendenti.

Perché è importante il lavoro di comunità?

Il lavoro di comunità è parte dei valori del contesto nel quale opera e per questo viene sentito, condiviso e partecipato dai destinatari dell’intervento; i sentimenti condivisi vengono tradotti in abilità e prospettive metodologiche per la risoluzione di problemi sentiti comuni.

Approccio comunitario e Servizio Sociale sono di un’affinità incredibile: a prescindere dal contesto e dalla comunità, l’insieme di valori sono tutti coerenti con i principi fondanti la nostra professione in quanto inerenti la giustizia sociale, la democrazia, l’uguaglianza, l’empowerment e il miglioramento delle condizioni di vita.

L’assistente sociale, partendo da un insieme di valori[5], realizza “azioni di sistema” a favore della comunità e lo fa integrando il procedimento metodologico.

In conclusione

Affrontare oggi lo sviluppo sociale di comunità non è semplice perché sembra che il tema non appassioni il dibattito accademico e sociale: viene collocato nel passato, se ne parla poco e in prevalenza come tema di cooperazione internazionale.

Eppure basta rispolverare l’ottica trifocale del servizio sociale per capire che l’azione di cambiamento è efficace quando parte dall’individuo per arrivare alla comunità: un assistente sociale che opera in contesti difficili, spopolati e apparentemente destinati ad una condizione di progressivo abbandono istituzionale, sa bene che il cambiamento culturale è profondamente intrecciato al cambiamento sociale.

Non è facile per le persone cambiare idea su quello che potrebbe essere il loro nuovo ruolo nella comunità se queste ultime non vengono coinvolte in prima persona e riconosciute come fondamentali “fattori di cambiamento”. Proprio per questo, accanto alla tecnica, occorre valorizzare la comunicazione in tutte le sue sfumature. Solo attraverso una comunicazione efficace, sentita e condivisa si costruisce relazione, riconoscimento reciproco e opportunità di conoscenza col fine di dare così continuità a quanto, con fatica, si è costruito e prodotto, in termini soprattutto di relazioni nella comunità.

Il community work, per le piccole comunità, se adottato come modello teorico che orienta e guida l’azione professionale, rende le persone veri “fattori di cambiamento” superando la liquefazione dei legami e rendendo l’assistente sociale un “facilitatore di relazioni” che, partendo da un insieme di valori, li adotta, individua le risorse valorizzandole, e, infine, attraverso azioni indirette di facilitazione, migliora il contesto coinvolgendo tutti gli attori comunitari.

 


 


[1] E. R. Martini, A. Torti, Fare lavoro di comunità. Riferimenti teorici e strumenti operativi, Carocci Faber, Roma, 2012.

[2] Ibidem.

[3] Nel febbraio 2019, in Sardegna ed in altre regioni del Centro e del Sud Italia, partì una protesta dovuta al crollo del prezzo del latte ovicaprino. Per intere settimane i pastori protestarono gettando pubblicamente in strada il latte appena munto a dimostrazione che per loro era più conveniente buttarlo che venderlo ad un prezzo di gran lunga inferiore ai costi di produzione.

[4] A. Volterrani, Sviluppo sociale di comunità e comunicazione, in “Welfare Oggi”, 1/2019.

[5] In questo caso il codice deontologico dell’Assistente Sociale, peraltro recentemente modificato.

Peruzzi G., Volterrani A. (2016), La comunicazione sociale, Laterza, Bari-Roma. 

Martini E. R., Torti A. (2012)  Fare lavoro di comunità. Riferimenti teorici e strumenti operativi, Carocci Faber, Roma.

Sclavi M. (2003), Arte di ascoltare e mondi possibili, Mondadori, Milano. 

Volterrani A., Sviluppo sociale di comunità e comunicazione, in “Welfare Oggi”, 1/2019 pp. 66-70.


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