Qualità di vita: dal Codice Deontologico degli assistenti sociali alla pratica professionale
Qualità di vita: dal Codice Deontologico degli assistenti sociali alla pratica professionale
Argomento
Trama
La Dott.ssa Marianna Lenarduzzi riprende, dal Codice Deontologico dell’assistente sociale, il tema della qualità di vita e si pone i seguenti quesiti: Cos’è la qualità di vita? Come si applica nella pratica professionale? Come promuovere la qualità di vita dei fruitori dei servizi sociali?
Per quanto concerne il primo quesito, già nel 1995 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva affermato che, per qualità di vita,si intende la percezione che ogni persona ha della propria posizione nella vita, del sistema dei valori, del contesto culturale, dei propri obiettivi e aspettative. Si tratta, quindi, di un concetto influenzato dallo stato di salute fisica, dallo stato psicologico, dalle relazioni sociali e dal rapporto con l’ambiente in cui è inserito l’individuo. Da ciò si denota che il concetto della qualità di vita sia caratterizzato da due principali aspetti: da un lato abbiamo la soggettività, quindi la percezione personale della qualità di vita che può subire modificazioni nel corso della vita e, dall’altro, la multidimensionalità, ossia il saper valutare e riconoscere la qualità di vita.A tal proposito, Schalock e Verdugo Alonso ci parlano di 8 domini, i quali compongono il benessere della persona ed è necessario che gli operatori li individuino per poter lavorare in tal senso. Essi sono: il benessere emozionale, le relazioni interpersonali, il benessere materiale, lo sviluppo personale, il benessere fisico, l'autodeterminazione, l'inclusione sociale e i diritti umani. Nella pratica professionale, per applicare il concetto di qualità di vita verso persone con fragilità, l’assistente sociale deve avere due finalità: da un lato la risoluzione del problema, quindi accompagnare la persona ad uscire dallo stato di bisogno; dall’altro l’attivazione di una relazione vivificante che faccia stare bene l'altra persona. Di fronte ai casi irrisolvibili occorre stare vicino alle persone, creare una relazione che vada aldilà della risoluzione del bisogno e aiutare la persona ad andare oltre la solitudine e l’isolamento. Bisogna, dunque, mettere al centro la persona,riconoscerle la dignità intrinseca, avere un atteggiamento non giudicante ed empatico. E’ importante che i fruitori dei servizi siano coinvolti nei piani di assistenza, nei progetti educativi e ancor di più nei progetti di vita,permettendo alle persone di essere soggetti attivi della presa in carico, dare alle persone un ruolo centrale anche rispetto alle politiche pubbliche.Inoltre, è importante anche il coinvolgimento di altri professionisti per poter dare una valutazione a 360 gradi sulla persona in modo da garantire una risposta più efficace, ma anche il saper riconoscere il proprio ruolo politico.La Dott.ssa conclude riprendendo una frase di Bauman: “Certamente sono io il custode di mio fratello; e sono e rimango un essere morale fintanto che non chiedo un motivo speciale per esserlo. Che io lo ammetta o no, sono il custode di mio fratello perché il suo benessere dipende da ciò che io faccio o che mi astengo dal fare”. Quindi “Se mi astengo, se sono indifferente, se non combatto per la giustizia sociale perdo il senso del mio essere assistente sociale”