Resilienza e relazioni significative: quale correlazione?
Atteggiamenti resilienti in risposta agli eventi traumatici: lo studio di Werner
È possibile superare gli eventi traumatici?
La vita si compone di periodi bui e periodi sereni. Questi arrivano inaspettatamente, a volte in maniera irruenta. Momenti che ci travolgono e, inevitabilmente, segnano il nostro modo di vivere e di vedere le cose. Uscire dai periodi di forte crisi non è così semplice, ma non è neanche impossibile. Quali sono gli elementi che potrebbero contribuire al superamento degli stessi? Uno di questi, fondamentali, è senza dubbio la resilienza.
<<Resilienza non vuol dire eliminare il dolore, bensì accoglierlo e trasformarlo integrandolo con le risorse insite in ogni individuo>>
Come reagire?
Ogni evento traumatico produce una ferita nell’anima. A questo si risponde, in genere, con un senso di impotenza o di paura. Sogni ricorrenti o stimoli esterni possono far rivivere l’evento in maniera continua. Si cerca di evitare qualsiasi pensiero o stimolo che possa ricondurci ad esso. Insomma, un trauma porta con sé diversi sintomi che possono manifestarsi nei primi tre mesi...ma anche dopo anni. Secondo Cyrulnik è importante agire tempestivamente affinché si dia un senso alla ferita e si possa evitare un prolungamento dello stato confusionale, il quale ostacola la comprensione e impedisce la ricostruzione di una visione chiara e reale del mondo interiore. In questo caso è possibile adottare un atteggiamento resiliente, di autoriparazione e crescita, che si attiva proprio in risposta agli eventi traumatici.
Il processo di resilienza si costruisce grazie all’interazione della dimensione individuale, familiare, sociale e ambientale; bisogna infatti considerare la storia evolutiva e pre-traumatica del soggetto, la struttura del trauma e l’organizzazione del supporto successivo all’evento. Quest’ultimo fattore è molto importante perché, come riscontrato in diversi studi, l’esistenza di un rapporto relazionale di supporto, di persone che credano nelle capacità del soggetto, che siano pronte all’ascolto e ad accogliere le sue sofferenze, fa sì che lo stesso sviluppi efficaci risorse interiori che lo aiutino nel superamento delle difficoltà.
Lo studio di Werner
I primi studi empirici sulla resilienza sono stati svolti negli anni Ottanta. Tra questi vi è quello svolto da Werner ̶ insieme al suo gruppo dell’Università di Davis in California ̶ sullo sviluppo dei percorsi di vita di 698 neonati, di cui circa 201 provenienti da un contesto familiare a grave rischio di vulnerabilità. All’età di 18 anni i due terzi di questi bambini presentavano difficoltà di apprendimento e altri disagi, mentre circa 72 dei 201, nonostante le previsioni iniziali legate alle difficoltà e al contesto familiare, erano cresciuti in maniera adeguata riuscendo a creare relazioni stabili e positive.
In una successiva rilevazione, svolta verso i 40 anni, quasi tutti questi soggetti conducevano una vita gratificante ed equilibrata. Uno degli elementi comuni a questi soggetti era la presenza di un adulto significativo che, come abbiamo visto, è uno dei fattori che favoriscono il processo di resilienza. Ogni persona, sin dall’infanzia, instaura dei legami più o meno significativi. Grazie alla presenza di queste relazioni il bambino acquisisce una maggiore sicurezza interiore, sviluppa una propria identità e riesce a creare sani rapporti interpersonali. Dunque, la qualità delle relazioni affettive vissute durante l’infanzia va a incidere sulla qualità delle relazioni interpersonali future.
Relazioni significative
I bambini che nascono in un contesto familiare multiproblematico, con genitori che mettono in atto comportamenti disfunzionali, solitamente sviluppano una bassa autostima, non riescono ad esprimere le loro emozioni in maniera appropriata e difficilmente riescono a fidarsi di un adulto in quanto mai nessuno ha dato valore alle sue esigenze e alle sue emozioni. Vien spontaneo chiedersi se questi minorenni, non avendo avuto una figura significativa nella loro vita, riescano a sviluppare la capacità di resilienza. La risposta è positiva.
Il fatto di non aver avuto un attaccamento forte con i propri genitori non preclude la possibilità di «attaccamenti multipli», ovvero di legami significativi con persone al di fuori dell’ambito familiare nel corso della vita. Queste persone, che Cyrulnik definisce come tutori di resilienza, possono essere i parenti, i nonni, gli insegnanti o le famiglie affidatarie, e rivestono un ruolo fondamentale in quanto possono permettere al minorenne di costituire un attaccamento sicuro che va a compensare l’insicurezza sorta dalle relazioni non positive. Essi sperimentano un senso di protezione mai vissuto prima. I tutori di resilienza sono, dunque, figure affettive di supporto, in grado di ascoltare le esigenze del minorenne, di accoglierlo e valorizzare i suoi punti di forza e le sue potenzialità.