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Abbandono Zero. Tutela minorile e lavoro sociale di rete.
Affiancamento e affido familiare. Prevenzione e promozione. L'intervento di Marco Giordano al Convegno Nazionale del 27 Gennaio 2022: "Bond Building for Teens".
‍Editing a cura di Monica Vacca
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"TESSERE" RETI DI PARENTELA SOCIALE
Con gli studenti di Servizio Sociale, in una delle prime lezioni, quando inizia un nuovo corso, uno dei primissimi punti che propongo è questo: "Che cosa intendiamo dire quando usiamo la parola “Disagio”?".
Dal latino “Disadiacens”, nel suo significato primordiale, indica una condizione di “adgiacenza”. Si tratta del poter letteralmente “giacere insieme". L’agio è una condizione relazionale, misurabile con il numero e la qualità dei legami che la persona ha. Al contrario, il disagio indica una situazione di povertà relazionale. Quando volgiamo lo sguardo ai 10.000 e oltre ragazzi che trascorrono una parte importante della loro esistenza all’interno di una comunità residenziale, abbiamo il dovere di chiederci, con chiarezza, su quante relazioni, su quanti legami informali questi ragazzi possono contare. Non conoscenze temporanee, bensì legami.
<<La solidarietà parte, si innesca spontaneamente se a monte si è creata una connessione emotiva, un contatto, un incontro di sguardi e di volti>>
LAVORO SOCIALE DI RETE
Un teorico del Servizio Sociale, Claude Brodeur, un canadese tra i fautori dei modelli teorici del lavoro sociale di rete, sottolineava che il benessere sociale delle persone (nel nostro caso ragazzi) aumenta tanto più quanto più le persone hanno la possibilità di condividere il proprio percorso con la loro rete informale, con la loro rete primaria e cioè con le reti familiari, del vicinato. Allo stesso modo, la promozione del benessere chiede anche che queste persone divengano sempre più autonome dalle reti secondarie, meno bisognose.
Quando accogliamo, mettiamo in protezione un ragazzo e facciamo tutto quello che occorre ed è doveroso come operatori, al contempo, dobbiamo chiederci – sistematicamente - come accompagnarli a poter far a meno di noi e, inevitabilmente, questo passa non solo attraverso il rinforzo delle loro skills, ma anche attraverso un sapiente lavoro di reticolazione relazionale.
Affiancamento familiare, parentela sociale, significa qualcuno che all’occorrenza ti dà una mano con gli esercizi di matematica se sono troppo complessi, qualcuno che sia disponibile ad accompagnarti in palestra, qualcuno con il quale poterti confrontare, che trovi accanto a te anche quando, da adulto, da neoadulto, affronti le varie vicende e pieghe della vita. Qualcuno che ti appartenga e a cui appartenere.
“NON UNO IN PIÙ, NON UNO IN MENO”
Le Linee Guida ONU sulle “alternative care”, sulle misure di intervento di accoglienza residenziale di bambini e ragazzi, dicono che una misura di messa in tutela di accoglienza deve necessariamente fondarsi su due principi: quello di necessità e quello di appropriatezza. Sono due principi alla base anche delle ottime Linee di Indirizzo Nazionali Italiane, sia quelle sull’affido, sia quelle sulla comunità , sia in quelle relative alla prevenzione delle cause che portano all’allontanamento.
“Non uno in più”: se un ragazzo può stare a casa sua, deve stare a casa sua. Mettiamo così in gioco il grande tema della prevenzione delle cause dell’allontanamento. Quali sono gli indicatori, i parametri espliciti, quali sono i criteri di assessment, di valutazione, che portano gli operatori della tutela a ritenere, valutare, ipotizzare che sia opportuno per quel minore trasferirsi dalla propria famiglia ad un contesto altro? Quali sono gli elementi espliciti di questo percorso? Ve ne sono tanti, ci lavoriamo, li usiamo… quanto però sono espliciti, chiaramente raccontabili e comunicabili? Numerosi sono i manuali di Servizio Sociale che invitano gli Assistenti Sociali a scrivere di più, a tracciare di più, chiaramente ed esplicitamente, i processi, le scelte e le valutazioni. Abbiamo il dovere di rendere certo il bisogno di ciascun allontanamento.
Tutto questo si connette con la grande sfida del sostegno alle famiglie, su cui occorre fare grandi passi in avanti. Ho avuto modo, un paio di anni fa, con alcuni docenti meridionali e docenti universitari di Servizio Sociale, di realizzare una ricerca sul vissuto delle famiglie d’origine; famiglie i cui figli sono stati allontanati in Campania, Lazio e Puglia. La grandissima maggioranza di queste vive l’allontanamento dei figli come una violenza, come un abuso, come un atto di dominio e prevaricazione.
ALLONTANAMENTO E PREVENZIONE
Il tema grande è: le reti di accompagnamento, i circuiti di fiducia tra gli operatori dell’aiuto e i nuclei familiari fragili, in una tessitura di fiducia e sostegno intenso, efficace e adeguato possono generare spazi preziosi di prevenzione delle cause di allontanamento. Diciamocelo: se il sostegno intensivo ai nuclei familiari a rischio, anche con misure ad hoc, è condotto sistematicamente...una parte di questi ragazzi probabilmente non si troverebbe fuori famiglia. “Tardo-riparativo” significa che se arrivi tardi, poi devi allontanare per forza.
Una parte di quegli adolescenti che sono in comunità avrebbe bisogno di passare in affidamento familiare, ma sappiamo bene quanto sia difficile reperire ed individuare famiglie disponibili a questa forma di accoglienza. C’è un legittimo timore, una legittima preoccupazione. Quello che sperimentiamo da anni è che molti affidamenti di adolescenti sono maturati all’interno di un percorso di affiancamento, con la presenza di spazi di incontro e di socializzazione tra questi e gli adulti positivi del territorio. La presenza di incontri significativi ha generato una disponibilità inizialmente non manifesta.
Gioacchino Lavanco - professore di Psicologia e di Comunità dell’Università di Palermo - lo dice con chiarezza: “La solidarietà parte, si innesca spontaneamente se a monte si è creata una connessione emotiva, un contatto, un incontro di sguardi e di volti”. Noi sperimentiamo e lanciamo alla vostra attenzione questa seconda proposta. La prima era che, in ogni PEI, ci sia un piano di sviluppo della rete di parentela sociale di questi ragazzi. La seconda proposta, anche questa volutamente semplice, è il “Piano Marshall degli incontri a bassa soglia”, ovvero degli incontri semplici, non casuali o occasionali, bensì pensati, tra i ragazzi che sono nelle nostre comunità e gli adulti positivi del territorio.
Assistente sociale, presidente nazionale della Federazione Progetto Famiglia, Docente di Principi e Fondamenti del Servizio Sociale presso le Università “Federico II” di Napoli e “Aldo Moro” di Bari, Docente di Metodi e Tecniche del Servizio Sociale presso le Università della Calabria e dell’Aquila.
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