Il contributo della Magistratura minorile nell'affiancamento di adolescenti fuori famiglia

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Il contributo della Magistratura minorile nell'affiancamento di adolescenti fuori famiglia

Comunità educante e programmi di gestione: cooperazione, dialogo e coordinazione. L’intervento della Dott.ssa Maggia al convegno “Bond Building for Teens”

Il contributo della Magistratura minorile

Il convengo del 27 Gennaio 2022 è stato incentrato sul tema dell’affiancamento familiare e sugli interventi da attuare in merito. Si è discusso dei percorsi che son stati attuati, delle problematiche a questi legate e del contributo che potrebbero dare i professionisti al fine di migliorare le prassi adottate nei confronti degli adolescenti fuori famiglia. È opportuno evidenziare, a tal proposito, l’intervento della Dott.ssa Cristina Maggia, Presidente dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglie, basato appunto sul contributo possibile della Magistratura minorile nell’affiancamento di questi adolescenti.

<<Siamo quegli adulti che devono garantire, ai sensi della Convenzione della Carta di Nizza, una situazione di benessere al minorenne>>

Nuovi progetti e tanto dialogo!

«Quando si decide un allontanamento  ̶ afferma Cristina Maggia  ̶ è perché tutti i tentativi di sostegno e di recupero della famiglia di origine, purtroppo, non hanno dato buoni esiti. Il provvedimento, duqnue, viene preso dall’autorità giudiziaria senza il consenso dei genitori. Gli allontanamenti coercitivi provocano reazioni, campagne di stampa, strumentalizzazioni. Non è da dimenticare la necessità di parlarsi tra tutti noi e di conoscere le esigenze rispettive degli uni e degli altri, perché anche la nostra modalità di attenzione è legata al contesto in cui viviamo e in cui operiamo.

[...] Ho fatto il Pubblico Ministero, il Giudice, il Procuratore e ora il Presidente del Tribunale dei Minorenni. Poi mi è capitato, in sorte, la Presidenza dell’Associazione recentissima, di cui spero di essere all’altezza. In genere, provo sempre a capire perché si arriva a una certa scelta e a una certa situazione, alla quale poi occorre porre rimedio con i progetti. Tutti noi siamo quegli adulti che devono garantire, ai sensi della Convenzione della Carta di Nizza, una situazione di benessere al minorenne».

Segnalazioni tardive

Durante il convegno la Dott.ssa Maggia ha evidenziato le problematiche derivanti dalle segnalazioni tardive, che rendono ancor più difficile la collocazione dei ragazzi in quanto quest'ultimi, nel frattempo, costruiscono legami di fedeltà e lealtà.

«Chiunque s’imbatta in una situazione di disagio o di dolore di un bambino, non può girare la faccia dall’altra parte. [...] È però difficilissimo entrare in una relazione sostitutiva genitoriale con bambini che hanno già un’età. […] Quando noi arriviamo a decretare che un ragazzo per lunghi anni resti in una comunità, con tutto il rispetto per il lavoro della comunità, che è assolutamente fondamentale e ineliminabile, penso che abbiamo in qualche modo sbagliato. Le ragioni possono essere tantissime.

La segnalazione tardiva comporta un intervento progressivo tardivo, i cui risultati spesso non sono ottimali. Vi è poi la mancata presenza di famiglie affidatarie sui territori. Avevo fatto una sorta di censimento da cui emergeva come lo strumento dell’affidamento familiare sia molto utilizzato nelle regioni del Nord, in maniera egregia devo dire, anche se tutto molto migliorabile. Molto meno nel Sud. Questo interpella gli amministratori locali a fare quelle campagne di promozione dell’affido che comunque fanno cultura dell’accoglienza e forse avvicinano i volontari alle comunità».

Costruire percorsi

Parte dell’intervento è stato poi dedicato all’approccio dei ragazzi con le comunità; approccio che deve avvenire in maniera graduale. I ragazzi devono passare del tempo non con un solo volontario, bensì con un intero gruppetto in modo da non generare l’illusione di poter essere accolti dal singolo. Aggiunge poi: «Sicuramente un collocamento in comunità prolungato può anche significare un insufficiente investimento nel recupero delle famiglie di origine: una volta che abbiamo messo in protezione il ragazzino, la famiglia di origine sfuma e ci si lavora di meno o, magari, collabora poco e il rischio è quello di essere presi dalle nuove emergenze che incalzano.

Un altro dei temi che vivo nel territorio in cui lavoro adesso è quello dell’errore nella scelta delle famiglie affidatarie dovuto al mancato collegamento tra il Tribunale e i Servizi. […] Quella che viene fatta dai Servizi, anche con la collaborazione delle associazioni del privato sociale, a volte è una scelta frettolosa e non meditata e porta, successivamente, non appena compaiono le prime turbolenze adolescenziali, a un’espulsione del ragazzino che deve approdare in una comunità fino ai 18 anni, non potendo ritornare nella propria famiglia di origine. Le ragioni sono tante, credo che sia da sottolineare con grande energia la grandissima carenza degli investimenti nel welfare.

Per quanto riguarda, invece, l’ambiente della Magistratura, un aspetto che ritengo critico è che siamo sollecitati a una valutazione numerica del nostro lavoro. Il Ministero chiede a noi giudici minorili, così come ai giudici civili, una durata contenuta del processo...ma non è sempre possibile con l’evoluzione di una famiglia fragile. Purtroppo, il Ministero questa cosa non la comprende e continuiamo ogni anno a scrivere i nostri programmi di gestione, definiti quando abbiamo trovato il “vestito” giusto per quel bambino, che si adatti esattamente a lui e che abbia il pregio di una visione a lungo termine.

Così come noi siamo pressati dal Ministero, è sotto pressione l’assistente a cui viene chiesto di non spendere, di fare presto…e questa è una vita faticosa. Allora capita che tanti ragazzini vengono collocati in comunità e come diceva il dottor Gazzi: «La buona comunità è una comunità calata in un territorio che aggrega le risorse, il volontariato, il sostegno».

Un percorso possibile

«Questo è uno stile di comunità che esiste, le ho sperimentate e le conosco, e questo affiancamento dei ragazzi nella comunità dà risultati. I ragazzini vengono accompagnati dai volontari la domenica allo stadio, piuttosto che al cinema oppure li portano a casa a pranzo in un gruppetto di due o tre. Magari non uno solo, perché poi questo può scatenare in minorenni fortemente deprivati il sogno di diventare figli. E se questo non è possibile, sono grandi le delusioni. […] Non dobbiamo semplificare troppo questi percorsi perché rischiamo di creare delle aspettative in chi ha questi buchi che noi non siamo riusciti a riparare più di tanto. Un approccio graduale di una famiglia che si avvicina alla comunità, come diceva il dottor Giordano, per organizzare la partita di pallone o la pesca o il gioco nel fine settimana, occasioni di incontro che poi piano piano diventano qualcosa di più. Penso che sia un modo di lavorare che in qualche modo esiste e che andrebbe esteso. Ci sono purtroppo molte comunità che hanno degli stili, invece, molto istituzionali. Fanno il loro, non hanno grandi legami, vogliono semplificarsi la vita.

Nella Lombardia orientale abbiamo purtroppo numeri molto piccoli di volontari. Ma quelli che ci sono, sono persone eccezionali che addirittura accettano nomine plurime e affiancano in modo egregio i ragazzi, spesso scontrandosi anche con le comunità. Anche qui il volontario o la persona animata dalle migliori intenzioni di affiancamento, vede solo il suo ragazzo e non comprende le esigenze che hanno, invece, gli operatori della comunità. […] È importante parlarsi, capirsi e rendersi conto delle esigenze di tutti per coordinarsi. È l’unico stile che paga, perché lo stile della frammentazione e dell’autoreferenzialità se porta dei risultati, sono risultati che non restituiscono grandi soddisfazioni».

Se desideri leggere l'intervento integrale della Dott. Maggia e gli ulteriori contenuti del Quaderno Affido n°3, Clicca qui.

 

 

 

 

 

 

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