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Mamma multata per un abbraccio. Uno sguardo educativo
Maternità difficile e figli “fuori famiglia”. Comunità educative, incontri protetti e Covid-19.
Una madre spaventata
È difficile dire cosa possa essere realmente accaduto nella stanza in cui si stava tenendo un incontro protetto tra una mamma e la bambina che le era stata allontanata. Alcune cose però si possono facilmente immaginare, mentre altre sono deducibili dal modo normale di funzionare dei servizi sociali.
È facile immaginare che la mamma fosse stata avvisata in anticipo e certamente le è stato detto durante il colloquio che avrebbe dovuto rispettare le norme sul distanziamento sociale. Evidentemente la donna doveva essere in uno stato di sofferenza molto forte, legata al pericolo che l’allontanamento della bambina potesse diventare permanente.
«Da mesi ci interroghiamo come la condizione sanitaria stia cambiando il contesto del nostro fare educazione. Di come sia possibile mantenere un'accettabile relazione con le persone con le quali e per le quali lavoriamo. Bardati come se stessimo entrando in una centrale nucleare»
Una semplificazione giornalistica?
Non sappiamo – e di certo non potremmo scoprirlo, non potendo avere accesso agli atti – quali possano essere i motivi dell’allontanamento, che gli articoli di stampa fanno risalire ad una difficoltà economica di una madre sola. Il che, da solo non può essere un motivo sufficiente: e quindi o è illegittimo l’allontanamento o è una falsità dovuta ad una semplificazione giornalistica.
Carabinieri e mascherina
In ogni caso, a quanto si riesce a capire la mamma della bambina ha consapevolmente deciso di disattendere le istruzioni che il servizio sociale le aveva dato e che la stessa educatrice aveva impartito durante l’incontro protetto.
Di lì si può immaginare uno scontro verbale, e l’educatrice non riuscendo a superare l’impasse si sia rivolta ai Carabinieri. Rivolgersi ai carabinieri per la mascherina è “un po’ come chiamare i vigili del fuoco per un barbecue vietato” ha commentato un collega sulla mia pagina Facebook.
Vero, ma ci sarà anche di più. Non conosciamo il pregresso di quella storia e non conosciamo come si è svolta quella conversazione. Sappiamo che la protagonista è una educatrice che opera in cooperativa in appalto per conto di quella amministrazione.
La fatica degli educatori
Qui finiscono le ipotesi e cominciano i dati di fatto. Gli educatori, in questi contesti sono vasi di coccio in mezzo a vasi di ferro. Schiacciati in mezzo alle pressioni esterne, umiliati da condizioni di lavoro avvilenti, ingabbiati dentro regole che ne sviliscono la possibilità di agire la profezia dell’agire pedagogico in una rigidità che rende impossibile agire davvero un ruolo educativo.
Perché se il committente ti pressa e il presidente della cooperativa non ti difende diventa difficile agire professionalità. L’educatrice di cui leggiamo non ha avuto nemmeno il diritto di raccontare la sua versione della storia perché sui giornali parla la cooperativa per la quale lavora.
Covid-19 e crisi delle relazioni sociali
Purtroppo, i dati in nostro possesso sono davvero pochi. Si vede un comportamento che non appare consono ad un incontro protetto: un incontro protetto serve ad avvicinare e non a distanziare, serve ad intervenire in caso di pregiudizio piuttosto che produrre pregiudizio.
Non è irrilevante che la fase Covid-19 che stiamo vivendo sta stravolgendo il nostro modo di agire la relazione. Molte ricerche evidenziano come il viso coperto dalla mascherina cambi la possibilità di percepire l’altro come soggetto empatico, e la stessa prossemica viene stravolta dalle norme che regolano il distanziamento fisico.
È ancora possibile fare educazione?
Da mesi ci interroghiamo come la condizione sanitaria stia cambiando il contesto del nostro fare educazione. Di come sia possibile mantenere un'accettabile relazione con le persone con le quali e per le quali lavoriamo. Bardati come se stessimo entrando in una centrale nucleare.
Se i fatti si sono svolti come vengono denunciati dall’avvocato – ripeto: SE si sono svolti così - quel comportamento ha ben poco di pedagogico. Ma cosa c’è prima o dopo? Quale copertura viene offerta ai colleghi che operano in cooperativa dai loro coordinatori e presidenti? In quali condizioni materiali vengono messi in condizione di lavorare dai colleghi più forti contrattualmente e più corazzati professionalmente? Il mondo delle professioni sociali è pieno di asimmetrie professionali di questo tipo. E gli utenti ne fanno le spese.
Pedagogista, fondatore e consigliere nazionale dell'Associazione Pedagogisti ed Educatori Italiani (Apei). Attualmente lavora come educatore professionale al Comune di Napoli, nella presa in carico multidisciplinare delle persone in condizione di povertà. Ha maturato una significativa esperienza nel campo della cooperazione sociale, gestendo servizi ed imprese sociali, sia operanti nel campo dei servizi socioassistenziali ed educativi che nell'ambito dell’ inserimento lavorativo.
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