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Il dovere di collaborare. Assistenti Sociali e reti di lavoro
Qualità del welfare e reti tra servizi. Autoreferenzialità, collaborazione ed empowerment reciproco.
Una rete smagliata
Bari, 27-28 marzo 2014. Si celebra la Conferenza nazionale sull’Infanzia e l’Adolescenza, promossa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Presenti oltre mille operatori sociali di tutt’Italia per fare insieme il punto sulla qualità del sistema italiano di tutela dei diritti dei minorenni e sulle politiche di promozione del loro benessere sociale.
Decine e decine gli interventi che si susseguono, tra momenti di assemblea e workshop tematici. Un filo rosso sembra collegare gran parte delle relazioni: la rete interprofessionale e interistituzionale del welfare italiano mostra preoccupanti segnali di disfunzione. Come il manto di un leopardo, lo scenario presenta alcune esperienze di eccellenza contornate da ampie zone di scarsa o assente integrazione da operatori e servizi.
La rete è slabbrata, smagliata! Tra le tante cause una emerge con preoccupante evidenza. Ad indicarla in modo lapidario sono le parole del dr. Stefano Ricci, funzionario dell’Azienda Sanitaria Regionale delle Marche e responsabile del settore dell’integrazione sociosanitaria: «Siamo tutti personaggi in cerca di autore, fortemente auto-referenziali, ... personaggi “soli” e, proprio per questo, “impotenti”, con grave danno per coloro di cui dovremmo tutelare i diritti».[1]
«se gli operatori sociali sono auto-referenziali, restano “soli” e “impotenti”, con grave danno per coloro di cui dovremmo tutelare i diritti»
Non tutti collaborano
Sembra scontato, quasi banale che nel nostro Codice Deontologico ci sia un articolo dedicato a ribadire che «l’Assistente Sociale ricerca la collaborazione di altri colleghi o altri professionisti» (art. 16). Eppure, la preoccupante denuncia emersa a Bari e in vari altri studi, documenti e analisi di settore, ci dice che di affermazioni come questa ce n’è un gran bisogno.
Il dato è drammaticamente sintetizzato da una affermazione di Lia Sanicola, già docente universitaria di Servizio Sociale e autrice di numerose ricerche e pubblicazioni: «Molte reti […] nella realtà operativa quotidiana non funzionano».[2]
… Con spirito di collaborazione
Ecco dunque che tra le responsabilità deontologiche dell’Assistente Sociale assume chiara evidenza e rilevanza il dovere di tessere reti. Non a caso il tema viene ripreso nel titolo VI del codice, deputato proprio al rapporto con colleghi e altri professionisti. All’art. 43 si ribadisce infatti che questo rapporto deve essere «improntato a correttezza, lealtà e spirito di collaborazione, nel rispetto delle reciproche competenze e autonomie».
Empowerment reciproco
Spirito di collaborazione che è da intendere non in modo “neutro”, come disponibilità a fare “solo” la propria parte in una sorta di equidistanza che non scomoda nessuno. Bensì come impegno concreto a favorire il positivo esito dei percorsi, con un atteggiamento nel quale l’Assistente Sociale fattivamente «sostiene e supporta nello svolgimento della professione i colleghi» (Art. 45). Vengono in mente gli inviti ad assumere uno stile di agire sussidiario che Pierpaolo Donati da tempo rivolge alle istituzioni e agli operatori territoriali, chiedendo di essere impegnati in un lavoro di empowerment reciproco.[3]
[1]Giordano Marco, Sintesi dell’atelier “Minori fuori dalla propria famiglia”, in Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Atti della Conferenza Nazionale Infanzia - Quaderni della Ricerca Sociale 29, Roma, 2014, p. 27.
[2]Sanicola Lia, Dinamica di rete e lavoro sociale. Un metodo relazionale, Liguori Editore, Napoli, 2009, p. 97.
[3] Cf. Donati Pierpaolo, La sussidiarietà come forma di governance societaria in un mondo in via di globalizzazione, in Donati Pierpaolo, Colozzi Ivo (a cura di), La sussidiarietà. Che cos’è e come funziona, Carocci, Roma, 2005, p. 84.
Assistente sociale, presidente nazionale della Federazione Progetto Famiglia, Docente di Principi e Fondamenti del Servizio Sociale presso le Università “Federico II” di Napoli e “Aldo Moro” di Bari, Docente di Metodi e Tecniche del Servizio Sociale presso le Università della Calabria e dell’Aquila.
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