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Mamma multata per un abbraccio. Fame di pelle… e di fiducia
Affetti a distanza e fame di contatto. Norme sul distanziamento e prevenzione del contagio. Attesa e fiducia tra operatori e cittadini.
Affetti a distanza
Skinhunger (letteralmente "fame di pelle") è l’astinenza da tocco altrui, quindi anche di abbracci. Quanti abbracci mancati in questi mesi! Quante forme di vicinanza e di contatto si sono dovute evitare e quante ancora è bene sospendere per “tenere a distanza” il Covid-19, ma non necessariamente gli affetti e le relazioni! Sì, perché distanziarsi dal coronavirus non significa distanziare e allontanare i propri affetti! No, al contrario, talvolta quei legami possono rafforzarsi e acquisire un significato diverso, più intenso, più profondo. Gli affetti veri rimangono anche a distanza.
In questi giorni si è parlato tanto di un abbraccio, di un abbraccio “costoso”, molto costoso… non solo in termini di soldi, ma di perdita di fiducia. Le videochiamate e altri strumenti ci hanno aiutato a rimanere vicini in queste settimane di lock-downe non hanno di certo soddisfatto quella “fame” di contatto che ognuno di noi ha per natura. Sebbene alcuni divieti siano rientrati e si sia ripresa una parvenza di normalità, vi sono ancora molte accortezze che ci sono richieste a nostra tutela e delle persone con cui entriamo in relazione.
«C’è fame di fiducia, non solo di abbracci, quella fiducia che è alla base della relazione di aiuto che si crea tra operatori e persone»
Un abbraccio si può multare?
Ma se gli abbracci ci fanno stare bene, se il contatto fisico è essenziale nelle relazioni umane qual è l’equilibrio tra cosa sia lecito e ciò che sia essenziale e vitale? L’amore reciproco tra una madre e un figlio è lecito ed è essenziale, un loro abbraccio è naturale. E allora perché impedirlo? Perché “multarlo”?
Forse semplicemente perché oggi, la cosiddetta “fase due” prevede che gli incontri tra madre e figli, quando questi ultimi non vivono presso la propria famiglia, ma in affido o in comunità, siano incontri dove va mantenuto il distanziamento e il contatto. E questo non lo ha deciso un’educatrice e neppure un carabiniere, ma il Governo, che ha dovuto intervenire con misure di contenimento particolarmente restrittive che rientrano nella definizione di “distanziamento sociale”.
Distanti… per amore
Tale distanziamento è previsto in molte situazioni e diversi contesti, tra i quali i luoghi neutri tra genitori e figli. Questo è un accordo che si firma prima dell’incontro se si è disposti ad accettarlo, altrimenti, ahimè, l’incontro non può avvenire. Tocca agli operatori saperlo motivare con empatia ai genitori e ai loro figli, riconoscendo il sacrificio che si chiede loro. Ma tocca ai genitori, in maniera responsabile, accettarlo, pur nella fatica.
È difficile per un adulto e ancora di più per un bambino, soprattutto quando quell’abbraccio manca da tempo. Quando manca qualcosa ci si sente in astinenza. Ma ciò significa che per astinenza da abbraccio (che racchiude molto di più) possiamo trasgredire al distanziamento sociale previsto? Eh, no! Limitare i contatti con chi amiamo è, in questa fase, il primo modo che si ha per proteggerlo.
Pertanto, quell’abbraccio andava valorizzato, riconosciuto, nominato come pezzo mancante lecito e a cui dar voce, ma sospeso, “frenato”, in attesa del tempo in cui poterlo amplificare e festeggiare.
Una madre, un’educatrice, un carabiniere
E allora non cerchiamo un colpevole, ma poniamoci in ascolto delle rispettive motivazioni che hanno portato a certi comportamenti: quelle della mamma, quelle dell’educatrice e quelle del carabiniere.
La mancanza del figlio da parte della madre che non vedendolo da tempo era in debito di abbracci è comprensibile, va accolta. Ma chi ci dice che non sia stato fatto? Il ruolo dell’educatrice che era quello di vigilare sulle norme da seguire e di accompagnare alla comprensione di questa prassi tanto surreale e scomoda quanto opportuna per garantire il rispetto delle regole ricevute e sottoscritte. Lo stesso, forse, per il carabiniere che ha applicato la legge in maniera rigida, stando a quanto si legge. Ma cosa sia avvenuto veramente probabilmente lo sanno loro tre e in parte quel bambino che in tutto questo non ne può nulla.
Fame di fiducia
C’è fame di fiducia, non solo di abbracci, quella fiducia che è alla base della relazione di aiuto che si crea tra operatori e persone. Fiducia che può generare comprensione e accettazione di indicazioni e regole fornite non per inibire e bloccare, ma per proteggere e responsabilizzare. Fiducia che noi grandi abbiamo il dovere di trasmettere ai nostri figli e ai figli della nostra società, che potranno crescere sviluppando legami che andranno al di là di un abbraccio e si fortificheranno se saranno valorizzati, riconosciuti e trasformati.
Alessia Rossato, assistente sociale e mamma d’origine e affidataria
Assistente Sociale piemontese, laureata in servizio sociale, in seguito conseguito un Master universitario di secondo livello in “Affido adozione e nuove sfide dell'accoglienza famigliare” presso l’Università Cattolica di Milano. Ha lavorato presso il CISS 38 di Cuorgnè (TO) dal 2001 al 2009. Da anni opera all’interno dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII per la quale è referente dell’Ambito Minori e Affidamento e partecipa al Tavolo Nazionale Affido. Dal 2010 è facilitatrice e formatrice di gruppi di Auto Mutuo Aiuto per famiglie affidatarie. Con suo marito è genitore affidatario dal 2006.
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