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Chi va e chi resta: prospettive di intervento con le famiglie d’origine nei casi di allontanamento
Allontanamento: famiglia dimenticata e bambino al centro. Interventi efficaci di tutela. Promotori di empowerment.
L’allontanamento: forma estrema di tutela
Su un piano formale e normativo, l’ordinamento giuridico italiano riconosce il “diritto del minore ad una famiglia” e, in modo più chiaro, l’art. 1 della L. 149/20011 sancisce che “il minore ha diritto di crescere ed essere educato nella propria famiglia”. I vincoli familiari sono dunque riconosciuti come costitutivi dell’identità stessa del fanciullo. Ciò vale in contesti familiari sufficientemente armonici in cui ciascun membro ha la possibilità di sperimentare relazioni costruttive e rassicuranti e quando le alleanze familiari sono funzionali e non problematiche. È innegabile che vi siano invece dei contesti familiari in cui è l’incolumità stessa del bambino ad essere messa gravemente in pericolo o in cui particolari eventi, crisi, instabilità rischiano di comprometterne in modo irreparabile lo sviluppo fisico e psicologico.
In questi casi è responsabilità inderogabile di una società che vuole ritenersi civile farsi carico della protezione e della cura dei membri più fragili. Nell’attuale tessuto normativo italiano, vi è un nucleo essenziale di disposizioni2 riferibili ad uno scorretto esercizio della responsabilità genitoriale che ne prevedono la decadenza o l’affievolimento e, nei casi gravi, l’allontanamento del minorenne dalla sua famiglia.
«L’allontanamento dovrebbe sempre restare comunque un intervento residuale, nella consapevolezza di intervenire su un trauma - effettivo o potenziale - con un altro trauma, l’allontanamento, altrettanto doloroso e le cui conseguenze non sono comunque prevedibili»
«“Riparare” un bambino in realtà vuol dire proteggere e aiutare i suoi genitori ad avere un buon legame di cura e affetto nei suoi confronti»
Una famiglia dimenticata?
Superata la delicata fase dell’allontanamento del minorenne dalla sua famiglia, gli interventi successivi - salvo situazioni estreme - dovrebbero essere orientati al sostegno e al recupero delle capacità delle figure genitoriali e al ripristino di condizioni sufficientemente adeguate al ritorno del bambino nella sua famiglia d’origine.
L’esperienza mostra tuttavia come frequentemente accada che uno dei soggetti centrali del processo di aiuto, la famiglia del bambino appunto, si ritrovi collocata sullo sfondo, defilata rispetto a quelli che sembrano diventare gli unici protagonisti del proseguo della storia: bambino, operatori, giudici, servizi, comunità, famiglia affidataria.
Il perché ciò avvenga lo si rinviene nell’intreccio di più ragioni, di per sé non ammissibili su un piano teorico, ma che sono espressione di alcune importanti criticità dell’organizzazione dei servizi di tutela e delle difficoltà vissute dagli operatori. Su un piano prettamente operativo, frequentemente i servizi riflettono un concetto di tutela restrittivo, procedurale e legalista, orientato e circoscritto al minore.
In tali organizzazioni i servizi di tutela del minore sono “separati” da quelli di promozione del benessere della famiglia e spesso risentono di risorse umane ed economiche insufficienti. Ciò implica lavorare nella continua emergenza e spostare l’attenzione da una urgenza all’altra, delegare gli interventi sul minore a chi lo ha preso in carico e investire solo marginalmente sulle azioni, più complesse e impegnative, con la sua famiglia.
Vi è comunque una generale tendenza a concentrare gli interventi sul bambino; è colui che esprime spesso il disagio e che, in quanto essere più fragile, richiama maggiormente le nostre attenzioni e scuote la nostra sensibilità; è colui che va tutelato e protetto, curato, “riparato”.
Mentre la sua famiglia, quella famiglia maltrattante che non ha saputo proteggerlo, o che gli ha fatto del male, suscita sentimenti di rabbia e di condanna e costringe gli operatori a fare i conti con i propri vissuti emotivi e le proprie resistenze. Ma la famiglia del minore allontanato è una famiglia che soffre, è una famiglia disorientata, spesso isolata, giudicata, che rischia di disgregarsi. «“Riparare” un bambino in realtà vuol dire proteggere e aiutare i suoi genitori ad avere un buon legame di cura e affetto nei suoi confronti.»
Quale tutela?
Gli interventi di tutela appaiono spesso orientati a valutare, il più oggettivamente possibile e secondo strumenti standardizzati, difficoltà e problemi, identificati come fattori di rischio, e ad attuare azioni che si configurano come “riparative”. Tali interventi riflettono una cultura professionale che trova legittimazione nelle previsioni normative, nei regolamenti, nei procedimenti. In questo senso “tutelare il minore significa essenzialmente difenderlo da una famiglia dannosa, in quanto trascurante o abusante”3.
Ma attuare interventi efficaci ed eticamente accettabili nel campo della tutela, implica necessariamente superare l’atteggiamento che ci vede schierati, per il bene del bambino, contro la sua famiglia e, al contrario, ricomprendere la famiglia, in tutti i casi in cui è possibile, nei progetti di sostegno al minore di età. Numerosi sono gli approcci che partono da questi presupposti: dalle family group conference agli interventi di advocady, dalle comunità educative aperte alle famiglie, ai gruppi di mutuo aiuto per genitori con figli sottoposti a misure di tutela.
Tali approcci sembrano restituire a tutti dignità e valore: al bambino, ancora troppo spesso ritenuto incapace di conoscere ed esprimere propri desideri e bisogni; alla famiglia, rivalutata nel proprio sapere esperienziale e nelle proprie capacità educative e genitoriali, anche quando residuali; e alla stessa professione di assistente sociale, a cui si riconsegna il ruolo di promotore di empowerment, troppo frequentemente messo in discussione da aspettative sociali irrealistiche e continui processi mediatici.
Bibliografia
DONATI P., FOLGHERAITER F., RAINERI M.L., (a cura di), La tutela dei minori, Ed. Erickson, Trento 2011
FARGION S., Sinergie e tensioni tra tutela dei minori e supporto alla famiglia, in www.sociale.regione.emilia-romagna.it/documenti, file PDF
FIVAZ-DEPEURSINGE E., CORBOZ-WARNERY A., Il triangolo primario. Le prime interazioni triadiche tra padre, madre, bambino, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.
MAZZUCCHELLI F., Allontanamento del minore dalla famiglia di origine: problematico strumento di tutela, in www.formazionesocialeclinica.it/programmi, File PDF
TUGGIA M., Manutenzione dei legami – la relazione con le famiglie d’origine, Workshop Convegno La Tutela dei Minori, Riva del Garda 2010
Dottore di Ricerca in Scienze Politiche e sociali, lavora da circa vent’anni nell’ambito della tutela minorile e della promozione della famiglia e ha coordinato diversi progetti e servizi integrati. Ha ricoperto il ruolo di consigliera presso il CROAS Sardegna e presso il CNOAS. Svolge incarichi di relatrice e docente. Attualmente lavora presso l’Ufficio del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Sardegna. È socia fondatrice di A.S.Pro.C. Assistenti Sociali per la Protezione Civile e socia di ASit Servizio Sociale su Internet.
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