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Analizzare e affrontare la crisi relazionale contemporanea: solitudine, serendipità, possibile tessitura di legami.
La solitudine che avanza
La crisi relazionaleche attraversa la società contemporanea mette in evidenza la diffusa difficoltà delle persone a “vivere vicine”. Sembra venir meno la capacità e la desiderabilità dell’essere con. Difatti, si vanno diffondendo unclima di sfiducia e un progressivo calo partecipativo al contesto sociale. Per giunta, alla modifica delle forme lavorative sempre più spasmodiche, vi è un aumento dei carichi di cura familiari.
«Sopraffatti dal bisogno compulsivo «del togliersi le voglie», tutto diviene consumo e spinge «to treat oneself and others as object»
Alcuni dati
Tra il 1995 e il 2015 il numero delle famiglie unipersonali – cioè persone che vivono da sole – è aumentato di quasi il 50%.[1] Si aggiunge al quadro anche il calo del numero di famiglie con cinque o più membri – derivato dalla riduzione delle nascite – scese di un terzo in vent’anni.[2]
Analizzando questi dati, potremmo pensare che ci sia maggior interesse nel tessere relazioni di fiducia e di aiuto reciproco con vicini, amici e colleghi. In realtà, lo scenario italiano si presenta frastagliato.
Dai rapporti ISTAT si evince che tale fenomeno è dovuto in gran parte all’aumento del fabbisogno di aiuto. A tal proposito, in base ai dati raccolti tra gli anni 1983 e 2009, si evince un aumento delle ore di aiuto informale, ma anche una riduzione del numero dei beneficiari.
La causa
La riduzione del numero dei beneficiari è determinato da tre importanti cambiamenti:
-il significativo incremento della popolazione anziana e molto-anziana;
-l’ampliamento dell’inserimento lavorativo delle donne, che determina l’incremento del bisogno di aiuti nella cura dei figli;
- la già richiamata riduzione del numero dei componenti delle famiglie, causata dal calo delle nascite e dalla fragilità coniugale.
Le reti di aiuto informale, dunque, anche se ampliatesi, non reggono il passo della dilatazione dei bisogni di cura.
La difficoltà dell’essere con
In questa cornice di solitudine e indifferenza, va evidenziato quanto il mito del self-made vada evolvendo in un continuo ri-self-made: la tendenza non è semplicemente a costruirsi da soli, ma a ri-costruirsi a piacimento, senza alcuna responsabilità.
Una parola che ben descrive questa tendenza culturale è “serendipità”. Si tratta di un neologismo che indica uno stile esistenziale centrato sul consumare nuove avventure ed esperienze, evitando vincoli. È una sorta di remake dell’antico motto latino “carpe diem”. Tradotto in termini relazionali, significa non impegnarsi con alcuna persona, non legarsi né vincolarsi. Questo porta le persone a divenire collezionisti di esperienze, liberi dal peso degli altri.
Sopraffatti dal bisogno compulsivo «del togliersi le voglie»,[3] tutto diviene consumo e spinge «to treat oneself and others as object»,[4] cioè a trattare sè stessi e gli altri come oggetti.
In questo contesto gli individui finiscono intrappolati sotto il peso di un implacabile bisogno di pienezza. Infatti, Bauman osserva che «[…] forma postmoderna [di] individualità privatizzata denota la condizione di non-libertà».[5]
Assistente sociale, presidente nazionale della Federazione Progetto Famiglia, Docente di Principi e Fondamenti del Servizio Sociale presso le Università “Federico II” di Napoli e “Aldo Moro” di Bari, Docente di Metodi e Tecniche del Servizio Sociale presso le Università della Calabria e dell’Aquila.
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