Promuovere nuovi cortili solidali – PARTE II

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Promuovere nuovi cortili solidali – PARTE II

Legame: rapporto d’obbligo o serendipità? Tessitura dei legami: fattibilità morale e pratica. Fare comunità e occhiali relazionali.

Legame o libertà?

Da queste riflessioni capiamo quanto sia importante chiarire il concetto di legame. Come nasce? Come cresce? Perché è in crisi? È possibile stimolarne la comparsa e orientarne lo sviluppo?

Nel vocabolario troviamo che la parola  “legame” indica «qualsiasi cosa con cui si lega o che tiene legato. […] vincolo morale o sentimentale […]. Più genericamente, qualsiasi rapporto d’obbligo che limita la libertà d’agire e disporre di sé».[1] Da questi brevi passaggi emerge un chiaro distacco dall’incondizionata libertà professata dalla serendipità. Il legame, infatti, indica lo svilupparsi di una dimensione normativa, tale da produrre degli obblighi sociali.

«Occorre indossare i giusti occhiali relazionali»

Si possono tessere i legami?

Dati i disagi sopracitati, è lecito chiedersi se è possibile realizzare un percorso intenzionale, e metodologicamente  orientato, di tessitura di legami in un determinato contesto. Bisogna pertanto indagare due fattori:

-  la fattibilità morale: è legittimo modificare intenzionalmente un determinato contesto sociale?  O  si rischia di profanare una realtà fatta di storie di persone, valori e credenze?

-la fattibilità pratica: è realistico ritenere di poter svolgere un’azione concreta che punta a modificare il reticolo relazionale di un contesto?

Tra i perplessi troviamo Zygmunt Bauman che – riferendosi al concetto di comunità – afferma che: «La comprensione di stampo comunitario non ha bisogno di essere cercata, e tantomeno di essere laboriosamente costruita o conquistata [...]. Non è il traguardo, bensì il punto di partenza di ogni forma di aggregazione […] ed è grazie a tale comprensione, e solo  grazie ad essa, che gli abitanti della comunità “restano essenzialmente uniti a dispetto dei tanti fattori di disgregazione” […]. La vera concordia non può essere prodotta artificialmente. Poiché “comunità” è sinonimo di “naturale” e “tacita” comprensione comune, non sopravvivrà al momento  in cui tale comprensione diventa autocosciente».[2]

A nostro avviso è pienamente condivisibile l’ipotesi del potenziale da far emergere.

Ce ne danno conferma i tanti segnali di relazionalità diffusi nei solchi della vita quotidiana.[3]

Quel che occorre è, piuttosto, indossare i giusti occhiali relazionali, per coglierne le tracce diffuse nei quartieri e nell’ordinario.


Editing dell’articolo a cura di Alessandra D’Anna

 

Note:

[1] ibidem

[2] Bauman Zygmunt, Voglia di comunità, Editori Laterza, Roma, 2001, pp. 10-12.

[3] Cfr. Aa.Vv., Segnali di Comunità. Riflessioni ed esperienze che ritessono legami, Edizioni Rosso Fisso, Salerno.


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