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Relazione professionista-utente: compassione e amore. Covid-19: impotenza della propria individualità.
La forza dell’amore
Convivere con un’entità che stravolge ogni vissuto, affrontare ogni ostacolo non perdendo di vista l’obiettivo compassionevole che c’è alla base della relazione professionista-utente va al di sopra di ogni difficoltà che si presenta, specialmente se a fare da fondo vi è anche la forza dell’amore.
«Un amore che racchiude in sé cura, calore e affetto è ciò che dovrebbe caratterizzare un professionista»
Una nuova realtà
Essere compassionevoli significa avere la capacità dell’anima di percepire le passioni altrui, i desideri e dolori; è compartecipazione della sofferenza senza viverla noi in prima persona. L’azione che ne deriva, a seguito della nostra osservazione, è quella che regge la relazione stessa, una relazione valida che possa salvaguardare la sfera affettiva dell’utente.
La compassione è atto, è praticità del supporto affettivo ed emotivo e nei giorni che stiamo vivendo si ritrova in parte impedita a causa di una realtà, non conosciuta del tutto, chiamata Covid-19, che ha portato incertezza e cambiamento ma anche delirio e paura negli animi di tutti noi, impedendo il normale decorso delle cose.
Nel mondo sociale e non solo, tutto diventa più difficile. C’è una ribalta dei parametri comportamentali di convivenza, che presenta un ambiente lavorativo e curativo stressante ora per l’utente, ora per il professionista. Ci si ritrova con un doppio peso sulle spalle, situazione personale contro situazione circostante, che innesca un meccanismo opposto del vivere, limitandoci del nostro atto dimostrativo nel supporto concreto all’altro.
Un valore al di sopra di ogni altra cosa
Questa pandemia ha stravolto la quotidianità dell’essere umano, ha portato un clima cupo, ma ciò non ostacola il sociale ad operare per un bene altrui che nasce da un sentimento che va oltre il dovere lavorativo e che spesse volte viene dato per scontato: l’amore.
Osservare chi soffre e prendersene cura, aiutarlo affinché da questo suo malessere riesca a trarre forza e accompagnarlo nel percorso di vita, è un gesto d’amore. Un amore che racchiude in sé cura, calore e affetto è ciò che dovrebbe caratterizzare un professionista. Oggi quest’ultimo, resiste invece di vivere. Resiste ad un impotenza apparente della propria individualità che influenza il suo operato, che non molla ma è sempre mirato alla tutela delle fasce più deboli.
Gestione nelle strutture e reazione
Lavorare in casa-famiglia, centri diurni polifunzionali, comunità-alloggio e strutture per minori, nel periodo che stiamo attraversando è straziante. Partendo dal presupposto che sono ragazzi con significanti storie di vita, parliamo di abbandoni, maltrattamenti, vizi, violenze fisiche e verbali e il ritrovarsi alla sera con le loro riflessioni e le loro mancanze senza poter rispondere con un abbraccio confortevole o forse un sorriso che appaga ogni sofferenza, ci blocca dal portare a termine il nostro compito altruistico.
Difficile la gestione dei più piccoli, di persone autistiche, con deficit o dei diversamente abili, che hanno bisogno di differenti necessità e attenzioni ma si ritrovano invece a trascorrere giornate interminabili e le attività sempre più limitate che rendono difficile la convivenza. Restare “dentro” è faticoso perché significa pensare e pensare per questi bambini fa male.
La vita per loro è più dura, il nostro compito lo stesso, ma ciò non vuol dire impossibile. Essere un punto di riferimento è una responsabilità e trarre forza dai momenti difficili, imparare a guardare da un'altra prospettiva dovrebbe essere il nostro modo di agire. Restrizioni di qualunque tipo non ci bloccano dall’essere ottimisti dando amore e presenza. In tal modo aiutiamo noi e chi ci sta intorno.
Educatrice. Laureata in Scienze dell'Educazione presso Suor Orsola Benincasa. Laureanda in Scienze e Tecniche di Psicologia Cognitiva presso Suor Orsola Benincasa.
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