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Peculiarità dialogica e ricerca di senso. Colloquio e conversazione: importanza del setting, sapere professionale, definizione dello scopo.
Lo strumento privilegiato dell’assistente sociale
L’assistente sociale, che si inserisce in un più ampio panorama di helping professions, ricorre sovente ad uno strumento privilegiato per intessere relazioni con le persone che gli si rivolgono in maniera spontanea, su invio di altri servizi e\o a seguito di segnalazione dell’autorità giudiziaria: il colloquio. Il colloquio professionale, a differenza di una qualsivoglia conversazione, è una forma di comunicazione interpersonale guidata dall’assistente sociale verso uno scopo, o una molteplicità di scopi, che consente di instaurare con la persona un rapporto che favorisca la comprensione reciproca della situazione in esame al fine di intravedere le soluzioni possibili e solleciti gli attori coinvolti a impegnarsi nella realizzazione dei compiti connessi con le soluzioni prospettate.
«La caratteristica fondamentale che distingue un colloquio da una conversazione è che l’interazione è volta a raggiungere uno scopo scelto coscientemente»
Il colloquio e la conversazione: differenze strutturali
Il modo più semplice per caratterizzare un colloquio professionale è dire che si tratta di un’interazione che ha un preciso scopo, senza il quale non avrebbe ragione d’essere. Le analogie con una conversazione sono che entrambi i processi dialogici implicano una comunicazione verbale e non verbale fra due persone, nel corso delle quali queste non si incontrano soltanto fisicamente, ma mettono in moto uno scambio dinamico di idee, appartenenze socioculturali e atteggiamenti.
Inoltre, come succede in una conversazione, i partecipanti al colloquio si influenzano reciprocamente l’un l’altro. É possibile affermare che un buon colloquio, come una buona conversazione, dà piacere ad entrambi gli interlocutori.
L’importanza del setting
Kadushin (1980), operando una differenza teorica fra queste due forme di comunicazione, sostiene come «la caratteristica fondamentale che distingue un colloquio da una conversazione è che l’interazione è volta a raggiungere uno scopo scelto coscientemente». In tal senso, il punto focale del professionista è dunque la definizione di uno scopo: “siamo qui per...”, naturalmente correlato al contesto (il setting fisico, il clima relazionale, la struttura organizzativa ecc.).
A tal proposito, il contesto è la cornice di senso entro cui avviene il colloquio, il terreno relazionale entro il quale si costruisce il cambiamento; per esempio, nell’ambito di un Servizio Tutela Minori, l’assistente sociale, ricorrendo alla visita domiciliare, quale ulteriore strumento tipico del servizio sociale, può studiare con i genitori in che modo il servizio può essere di aiuto per l’educazione ed il sano sviluppo della prole.
Il sapere professionale nel colloquio
La persona portatrice di handicap può vedere il suo contatto con l’assistente sociale come una formalità di mera natura burocratica richiesta dal servizio sociale per disabili. Di contro, l’assistente sociale lo percepisce come una possibilità per aiutare la persona che potrebbe presentare un problema specifico.
Alla luce di questa disparità di aspettative, l’obiettivo del colloquio può essere quello di trovare uno scopo reciprocamente accettabile. In un altro contesto, l’assistente sociale, in virtù del suo mandato, può incoraggiare l’interlocutore a definire il perché del rapporto; anche questo è uno scopo.
Fintanto che l’interazione non ha scopo, essa può essere definita una conversazione, ma non ancora un colloquio. Inoltre, lo scopo – quale tratto distintivo di un colloquio nell’ambito di una relazione di aiuto – non può essere costruito mediante il senso comune, bensì plasmato dal sapere professionale dell’assistente sociale e ragionato con la persona e\o con le persone coinvolte, ed assume aspetti e obiettivi particolari.
Assistente sociale, mediatore familiare, dottore in psicologia delle organizzazioni Investe le sue competenze professionali in differenti settori, collaborando con Ambiti territoriali sociali, organismi d’ispirazione cristiana (Caritas), enti gestori di servizi socio-sanitari e studi multidisciplinari. Possiede una consolidata esperienza nell’ambito del servizio sociale professionale in qualità di case manager nelle seguenti aree di lavoro: tutela minori e famiglie, povertà ed esclusione sociale, socio-sanitario e non autosufficienza. È membro del direttivo della Camera minorile multiprofessionale del Tribunale di Napoli-Nord. In qualità di componente dell’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse della Diocesi di Aversa è coautore del dossier annuale diocesano. Già coordinatore del Centro di Ascolto, presso la Caritas di Aversa riveste altresì le funzioni di selettore e formatore accreditato per il Servizio Civile Universale e supporta le équipe parrocchiali attraverso la progettazione partecipata di attività pastorali e percorsi formativi ad hoc.
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