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Genitori e figli: come recuperare il rapporto tra abusante e abusato? (parte VI)
Castrazione: intervento che evita la recidiva? Abusato e abusante, un aspetto in comune: distacco emotivo.
Un intervento utile?
La psicologa Cristina Priori, ha espresso il suo parere sulla castrazione chimica per i sex offender, un tipo di intervento non definitivo volto ad inibire la funzionalità sessuale, ampiamente utilizzata in diversi Paesi.
«Ho percepito profonda tristezza e grande degrado, sia nel bambino abusato sia in colui che ha commesso il reato»
INTERVISTA
-In diversi Stati (Regno Unito, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Israele, Russia, Polonia, Portogallo, Germania) viene utilizzata la castrazione chimica durante il percorso riabilitativo, talvolta anche come alternativa alla reclusione. In alcuni Stati viene praticata senza il consenso del sex offender, altre volte è subordinata al suo consenso. Secondo lei, questa misura è realmente efficace? È un intervento idoneo che favorisce il reinserimento del colpevole nella società e riduce il rischio che commetta lo stesso reato?
Io sono contraria alla castrazione fisica, secondo me con questa pratica non risolvi il problema. Sicuramente è un problema che molti esperti, molti professionisti vogliono chiarire e si pongono la domanda “ma queste persone potranno ripetere il reato?”. È la recidiva che preoccupa. Ci si chiede anche se sia giusto metterli nelle case circondariali, questo è un altro aspetto da approfondire.
A volte chi commette il reato di pedofilia è gente deficitaria mentalmente, affettivamente immatura, persone che non riescono ad interfacciarsi con una donna, che hanno problemi di dipendenza. Privare un soggetto della propria libertà penso che sia una remora molto significativa per un soggetto, non penso che con la castrazione cambi qualcosa.
I pedofili non sono incapaci di intendere e di volere, la loro è una psicopatologia lucida. Capiscono quello che è stato commesso. Parlare di castrazione è semplicemente un modo per dire “te la faccio pagare per quello che hai fatto sui bambini”, però non so fino a che punto possa effettivamente aiutare queste persone e se questo sia l’unico modo per evitare la recidiva.
-Quale sua esperienza lavorativa ritiene significativa?
Quello che per me è stato molto forte è la ricerca da me condotta: ho avuto modo di vedere bambini abusati, di osservarli proprio perché mi occupavo prevalentemente sul versante di osservazione, sul versante psicodiagnostico dell’età evolutiva. La cosa che mi ha sconcertato e che mi ha colpito è il distacco emotivo, cioè sia da una parte (il pedofilo) sia dall’altra (il bambino). Il minore presunto abusato presentava un forte distacco emotivo ed affettivo, come se fosse stata congelata l’affettività.
Guardando, invece, la persona colpevole del reato, vedevo dei bambini; il modo in cui si ponevano e si interfacciavano era caratterizzato da questa emotività profondamente immatura, pur essendo carnefici. Questo fa parte di un’identità che nemmeno loro riconoscono.
Entrare nelle strutture, vedere questa segregazione, vedere queste persone come se volessero giustificare le loro azioni però allo stesso tempo non riconoscerle, non è stato facile, una realtà molto triste. Ho percepito profonda tristezza e grande degrado, sia nel bambino abusato sia in colui che ha commesso il reato.
Laureata alla triennale in Scienze del Servizio Sociale presso l'Università degli Studi di Bari "Aldo Moro" e laureanda al corso di laurea magistrale in Innovazione Sociale e Politiche di Inclusione presso la stessa Università.
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