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Autoefficacia e autostima. Diversi livelli: funzionamento ottimale o disagio psicologico. Onestà, atteggiamento attivo, obiettivi ambiziosi.
La buona riuscita dell’intervento
Il lavoro sociale impone all’operatore il continuo posizionamento tra due poli: il disagio della persona utente, con le oggettive difficoltà di intervento, e la propria percezione di capacità nell’affrontare le situazioni problematiche. Molto spesso la buona riuscita di un intervento di aiuto non dipende dai fattori esogeni (resistenze dell’utente al cambiamento) bensì dell'autoefficacia dell’operatore.
«Il successo è sempre frutto di un atteggiamento attivo»
Autoefficacia e autostima
L’autoefficacia è un processo cognitivo identificato dallo psicologo Albert Bandura alla fine del secolo scorso1, che può essere definita in generale come la capacità di orientare verso scopi specifici le proprie abilità cognitive, sociali, emozionali e comportamentali. Più specificamente l’autoefficacia è la fiducia che ogni persona ha nelle proprie capacità di ottenere gli effetti voluti con la propria azione.
Tale capacità è collegata all’autostima ed ha radici nelle convinzioni di base circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati per raggiungere determinati obiettivi e per padroneggiare le situazioni e di poterle gestire.
I diversi livelli di autoefficacia
Di fronte alle difficoltà la persona autoefficace resta concentrata sul compito e ragiona in modo strategico. I livelli di autoefficacia influenzano le prestazioni personali: se l’autoefficacia è bassa la persona ritiene che le proprie azioni raramente otterranno i risultati desiderati; è palese dunque il collegamento tra questa soft-skill e la capacità di problem-solving che è necessaria nel lavoro di aiuto.
Sono state registrate specifiche reazioni nelle persone che dubitano delle proprie capacità: esse rifuggono i compiti difficili, hanno difficoltà a motivarsi, riducono gli sforzi o rinunciano velocemente di fronte agli ostacoli, hanno aspirazioni ridotte e si impegnano debolmente per raggiungere gli obiettivi che scelgono di perseguire; nelle situazioni difficili indugiano sulle proprie mancanze, sulla difficoltà del compito e sulle conseguenze avverse dell’insuccesso.
Questo modo di pensare provoca disagio psicologico e indebolisce ulteriormente i loro sforzi corrodendo via via la percezione di fiducia nelle proprie capacità ed aumentando i livelli di stress. Di conseguenza la persona sarà portata a scegliere obiettivi sempre più piccoli e sarà dominata da un vissuto di paura nell’errore incombente.
Viceversa la persona con un alto livello di autoefficacia predispone positivamente il funzionamento socio-cognitivo nelle relative sfere d’azione, dirigendo così in modo ottimale le proprie energie e risorse.
Tratti tipici delle persone autoefficaci
Caratteristica peculiare delle persone autoefficaci è la tendenza a prendere i compiti difficili come sfide da dominare invece che come minacce da evitare, atteggiamento che alimenta l’interesse e il loro coinvolgimento entusiasta nelle attività.
E’ tipico delle persone autoefficaci porsi obiettivi ambiziosi e strutturare un piano di azione coerente in cui incanalano molto impegno e, di fronte ai successi e battute d’arresto, incrementano i loro sforzi anziché deprimersi o demotivarsi.
Alimentare l’autoefficacia
Un valore e un atteggiamento attivo per alimentare autoefficacia è quello dell’onestà verso se stessi ovvero poter ammettere che tante volte il fallimento non dipende da fattori esogeni (“è colpa di…se le cose non vanno bene”) quanto piuttosto da un proprio filtro interno negativo che fa interpretare e ridefinire la realtà esterna per farla collimare con i propri limiti interni.
Il successo è sempre frutto di un atteggiamento attivo, di un movimento, nel senso letterale di “fare succedere” ovvero di fare accadere qualcosa piuttosto che aspettare che accada. In sostanza: di assumersi la responsabilità di smetterla di credere che un certo destino sovrasti le nostre vite pur senza cedere all'illusione, altrettanto magica, di essere onnipotenti.
Assistente sociale e Dottore in Scienze e Tecniche Psicologiche
Assistente sociale e dottore in scienze e tecniche psicologiche, già giudice onorario minorile. Counsellor professionista ad orientamento analitico-transazionale, consulente familiare, mediatore sistemico. Da oltre vent’anni lavora nel campo della tutela dei minorenni e del supporto psicosociale alle famiglie, e come coordinatore di servizi sociali. È formatore e supervisore per le professioni di aiuto e direttore e didatta di corsi di counselling. Ideatore del Metodo Webuilding® per la promozione del benessere personale e nelle organizzazioni, e titolare dello Studio Ecophysis dove svolge attività libero-professionale di consulenza psicosociale e relazionale.
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