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La «sacralità della persona» nel Titolo II del nuovo Codice deontologico
Persona e diritti umani. Dignità e Piani assistenziali. Promozione culturale
Premessa
Il TitoloII del nuovo Codice deontologico introduce i principi portanti del Servizio Sociale. Da una lettura approfondita emergono due punti cardine: l’intensità del rapporto tra diritti umani e dignità, la dimensione fondativa della professione nel concetto di «persona» di matrice mouneriana e maritainiana.
«la comunità professionale si adopera per sviluppare una cultura della sussidiarietà, della prevenzione e della salute»
Da cosa ha origine il legame indissolubile tra diritti umani e dignità?
Tra diritti umani e dignità esiste un legame indissolubile. È innegabile, infatti, che i primi non sono altro che una declinazione in senso astratto-universale e concreto-relativo della seconda. La dignità rappresenta quel principio giuridico intangibile, indisponibile dal quale traggono origine tutti i diritti inviolabili e inalienabili.
Il Titolo in esame declina i diritti umani come valori deontologici. Essi, per la comunità professionale, sono pietre miliari sulle quali edificare una riflessione morale solida, costruire uno spazio di «dialogo interculturale» per promuovere un processo di cambiamento sociale autentico e sostenibile.
Un progresso dunque costruito sul rispetto della dignità di ogni essere umano. Su quel principio assoluto che conferisce a ogni uomo un valore inestimabile e intrinseco tale, da permettergli di godere di un rispetto incondizionato e di uno stato libero con il quale e nel quale costruire se stesso.
La sacralità della persona come immediata conseguenza
Le norme codicistiche, in linea con tale convinzione, riconfermano che lo scopo ultimo della professione di aiuto è tutelare la «sacralità della persona». Riconoscono la sua multidimensionalità come caratteristica essenziale e impegnano ogni professionista a sostenere la stessa, in qualità di attore individuale e collettivo, nella costruzione del suo originale e unico piano esistenziale.
Il Servizio Sociale si assume nuovamente la responsabilità del ben-essere dell’altro ri-proponendosi come fautore di giustizia e di equità, baluardo contro tutte le forme di discriminazione, strumento di promozione delle pari opportunità e di salvaguardia delle diversità.
L’assistente sociale come promotore di cultura…
Per sfuggire a qualsiasi forma di assistenzialismo, paternalismo e controllo la comunità professionale si adopera per sviluppare una «cultura della sussidiarietà, della prevenzione e della salute».
La prima utile a salvaguardare lo spazio di creatività e di azione del singolo e della comunità e a imporre e giustificare l’intervento di protezione e di sostegno da parte di istituzioni pubbliche e private per integrare lacune o fronteggiare inadeguatezze.
La cultura della prevenzione e della salute permette di farsi carico dei determinanti sociali che, pur influenzando l’insorgenza della patologia, non sono riconducibili alla realtà biologica. È una strategia efficace per combattere quelle disuguaglianze culturali, ambientali, economiche, lavorative e sociali che agendo, in modo particolare tra le componenti vulnerabili e deboli della società, determinano l’insorgenza di malattie.
Il carattere educativo-promozionale di ogni intervento
L’intervento sociale assume così il carattere educativo-promozionale. Nella prassi l’assistente sociale «educa» in quanto si prende cura dell’altro affinchè questi abbia cura di sé; «promuove» perché innesca nella persona o nella comunità un percorso di cambiamento e di emancipazione.
Assistente Sociale specialista. Docente a contratto presso la LUMSA sez. EDAS TARANTO. Insegna “Storia e Principi del Servizio sociale” nel corso di laurea triennale di Servizio Sociale. Membro tecnico della Commissione deontologica nazionale. Autrice di monografie ed articoli scientifici. Counsellor ad orientamento umanistico-esistenziale. Formatrice presso enti pubblici e privati.
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