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I diritti umani e l’etica professionale: un legame indissolubile
Connubio fecondo: diritti umani e diritti sociali. Valori etici e deontologici. Lavoro sociale di comunità. Giustizia sociale: diritti finanziariamente condizionati.
Due facce della stessa medaglia
L’intenso legame che sussiste tra deontologia professionale e diritti umani emerge in ogni documento elaborato dagli organismi nazionali ed internazionali che si occupano di servizio sociale. Tale fecondo connubio permette al lavoro sociale di trovare nel sistema giuridico un fondamento solido per fronteggiare gli ostacoli, le incertezze, gli aspetti contraddittori e depersonalizzanti del contesto lavorativo, politico, sociale e culturale.
«Lo scopo ultimo di un operatore sociale è quello di farsi promotore di una cultura dei diritti umani»
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
Parlare dei diritti umani ci riporta indietro nel tempo, in particolare al 1948, anno in cui le Nazioni Unite in un’Assemblea Generale approvarono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Essa rappresenta per l’umanità un atto di riflessione e di discernimento nonché di ripudio di tutte quelle teorie che avevano consentito e giustificato la classificazione del genere umano in «uomini degni» e «uomini non degni». Da quella crisi esistenziale profonda, che aveva colpito discipline e professioni demandate ad occuparsi del benessere della persona, ha origine un nuovo processo di personalizzazione che trova il suo punto cruciale nel riconoscere il valore incommensurabile di ogni uomo.
Punto fermo a livello filosofico e giuridico è, infatti, lo stretto rapporto tra diritti umani e dignità. La comunanza rappresenta un vero postulato, non è l’esito di una dimostrazione, ma è una intuizione secondo la quale: tutti gli uomini sono egualmente degni. Il significato dato alla dignità sta ad indicare che tale valore è indisponibile. Essa non viene attribuita o concessa ma semplicemente riconosciuta in qualità di carattere distintivo e non accidentale di ogni uomo e, pertanto, esige un rispetto incondizionato[1].
Diritti umani e diritti sociali
La breve riflessione sulla dignità riporta all’uguaglianza e al senso di giustizia che non si esauriscono nella semplice affermazione: “la legge è uguale per tutti” ma nella più sostanziale norma “tutti sono eguali di fronte alla legge”. La comune appartenenza al genere umano impone il rispetto reciproco e deve necessariamente essere seguito dall’obbligo di offrire a tutti la possibilità di «fiorire» ovvero di realizzare pienamente se stessi e il proprio progetto di vita. È un’affermazione di estrema importanza perché fa intendere che i diritti sociali rappresentano l’implementazione dei diritti umani, richiamando pertanto alla presa di responsabilità tutte quelle professioni che per mandato sociale, istituzionale e professionale sono chiamate ad adempierli.
I diritti sociali così intesi sono pretese morali e bisogni esigibili che impongono alla società di creare sistemi integrati di servizi capaci di trasformare una semplice, se pur essenziale, proclamazione in una sostanziale realizzazione[2].
Secondo Martha Nussbaum lo scopo ultimo della giustizia sociale, della quale co-fautori sono gli assistenti sociali, è garantire che la dignità di ogni persona trovi una concreta tutela in un sistema di welfare efficace, efficiente e qualitativamente elevato, in grado, come direbbe Avishai Margalit, di preservare ogni individuo da esperienze umilianti[3]. Va da sé che quando un singolo, una famiglia, un gruppo o una comunità sono costretti a vivere al di sotto della soglia di sussistenza, in contesti insalubri, ecologicamente incompatibili, iniqui ed ingiusti questo viola la loro dignità ed impedisce loro di determinarsi e realizzarsi autonomamente.
La connessione individuata tra diritti umani e diritti sociali è tutt’altro che scontata. Si pensi a quante volte per ragioni di sicurezza o per difficoltà economiche tali pretese non vengono garantite, ma anzi la loro violazione viene giustificata. In effetti la questione più dibattuta riguarda l’effettiva esigibilità dei diritti sociali. Molto spesso essi vengono definiti «diritti finanziariamente condizionati» ovvero subordinati ai vincoli di bilancio, consentendo al legislatore di graduarne l’attuazione in base all’urgenza, alla gravità delle condizioni oppure alla disponibilità di risorse[4].
I diritti umani come valori etici e deontologici
A questo punto della breve riflessione bisognerebbe chiedersi: come possono gli assistenti sociali contribuire alla tutela dei diritti umani?
Parlare di diritti umani come una panacea per risolvere ogni dilemma o ingiustizia è fuorviante. Bisogna intenderli come spazio comune sul quale intrecciare un «dialogo socratico» per promuovere un processo di cambiamento. In fondo, anche se non si può certamente parlare di un’etica dei diritti umani come alternativa al pluralismo morale, non si può negare che essi riscuotano un consenso generale anche se principalmente di tipo giuridico.
Il servizio sociale, consapevole di operare in un contesto caratterizzato da un pluriverso etico, può trovare nei diritti umani, intesi come valori etici e deontologici, le proprie pietre miliari su cui sviluppare un ragionamento morale solido e contribuire a costruire un modello di società più giusto ed equo. Promuoverne la conoscenza e la protezione possono essere ottimi punti di partenza per fare in modo che il sistema dei diritti umani venga considerato come fonte di rinnovamento e come filtro ad ogni innovazione, evoluzione e rivoluzione culturale, politica, sociale, giuridica ed economica[5].
Lo scopo ultimo di un operatore sociale è quello di farsi promotore di una «cultura dei diritti umani» che permette non solo di acquisire consapevolezza intorno a tali valori, ma di impegnarsi nel rispettarli e farli rispettare. Sceglierli come vincoli morali a cui appellarsi e rispetto ai quali compiere delle scelte e porre dei limiti invalicabili[6]. Tutto questo invita gli assistenti sociali a mettere in discussione la dicotomia tra l’approccio operativo «conservatore» che vede il professionista esclusivamente impegnato sul singolo caso e quello di natura «progressista» in cui egli agisce per produrre un cambiamento strutturale della società. Ridefinisce i problemi e le sofferenze privati in chiave sociale, favorisce l’empowerment, mobilita e sostiene un gruppo o una collettività per contrastare le disuguaglianze insite nella comunità[7].
Porsi come co-responsabile dell’attuazione dei diritti umani sprona il social worker ad uscire dalla logica burocratica e dalle controversie politiche in cui a volte è costretto per investire, ancora una volta, le proprie energie, le proprie competenze e le proprie esperienze nel lavoro sociale di comunità, per proporsi come catalizzatore e facilitatore di processi risolutivi, come sostenitore e portavoce di politiche sociali emancipatorie[8]. È una pratica che induce ad avvalersi del proprio ruolo tecnico e politico e fungere da raccordo tra i vari attori sociali del territorio per promuovere collaborazioni utili a sviluppare e consolidare processi partecipati di programmazione ed implementazione di servizi e di interventi garanti della giustizia ed equità sociale, elementi indispensabili per costruire comunità solidali ed inclusive[9].
[1] Cfr. Ratzinger Joseph, Habermas Jürgen, Etica, religione e stato liberale, Morcelliana, Brescia, 2005, pp. 35-36.
[2] Cfr. Feinberg Joel, Filosofia sociale, il Saggiatore, Milano, 1996, p. 115.
[3] Cfr. Nussbaum Martha, Giustizia sociale e dignità umana. Da individui a persone, il Mulino, Bologna, 2002, p. 82; cfr. Margalit Avishai, La società decente, Guerini e Associati, Milano, 1988.
[4] Cfr. Codini Ennio, Fossati Alberto, Frego Luppi Silvia, Manuele di diritto dei servizi sociali, Giappichelli, Torino, 2019, pp. 36-37.
[5] Cfr. Nota Laura, Mascia Marco, Pievani Telmo (a cura di), Diritti umani e inclusione, il Mulino, Bologna, 2019, pp. 52-53.
[6]Cfr. Banks Sarah, Nøhr Kirsten, L’etica in pratica nel Servizio sociale, Erickson, Trento, 2014, p.96.
[7] Cfr. Dominelli Lena, Servizio sociale. La professione del cambiamento, Erickson, Trento, 2015, p. 119.
[8] Cfr. Twelvetrees Alan, Il lavoro sociale di comunità, Erickson, Trento, 2006, p. 19.
[9] Cfr. Gorgoni A., Assistenti sociali. Codice deontologico, GiuseppeLaterza, Bari, 2012, p. 164.
Assistente Sociale specialista. Docente a contratto presso la LUMSA sez. EDAS TARANTO. Insegna “Storia e Principi del Servizio sociale” nel corso di laurea triennale di Servizio Sociale. Membro tecnico della Commissione deontologica nazionale. Autrice di monografie ed articoli scientifici. Counsellor ad orientamento umanistico-esistenziale. Formatrice presso enti pubblici e privati.
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