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Lavoro sociale di comunità e percorsi di reticolazione - Parte II
Riattivare la solidarietà comunitaria: promuovere le relazioni. Condivisione di bisogni, gioie, passioni, solidarietà. Salf made man.
Tessitura intenzionale di relazioni interpersonali
Nel corso degli anni è stato possibile riflettere, con vari studiosi e realtà istituzionali, associative ed ecclesiali, su come e quali possano essere i canali per favorire una rinnovata tessitura relazionale. Emerge un sentire comune, tratto dalle esperienze concrete, che vede proprio nella crisi relazionale ed economica il germogliare di rinnovate possibilità di risalire la china: è l’esperienza di debolezza e di bisogno ad innescare la tensione verso l’altro.
«E’ sulla base del riconoscimento del proprio bisogno che diventa possibile costruire legami di senso tra tutti gli attori. Come fare? È necessario progettare e realizzare “luoghi” in cui evidenziare tale base comune e costruire nuovo senso5» sono queste le considerazioni degli operatori della Cooperativa Itaca di Conversano (BA). Evocativo, in quest’ultimo spunto, è l’attivare “luoghi di senso” che rendano possibile una rinnovata condivisione dei bisogni. Non necessariamente luoghi fisici (anche se di questi c’è bisogno, sia sul piano pratico che simbolico), ma anche “percorsi” che facilitino, accompagnino e favoriscano la costruzione di risposte comuni alle esigenze, difficoltà e problematiche della vita quotidiana.
Ci interessa, insomma, favorire prossimità e aiuto reciproco a partire dal confronto informale sui propri vissuti, fino ad arrivare alle forme del mutuo sostegno nelle esigenze pratiche. Si tratta di quelle medesime cose, quotidiane o emergenziali, che condivideremmo se vivesse accanto a noi un familiare o un carissimo amico. Se, infatti, l’aiuto reciproco è espressione di un legame che lo rende possibile e sensato, va considerato anche che il legame stesso cresce e si consolida per effetto del concreto flusso di mutua solidarietà.
«Nessun uomo è un’isola»
“Con-dividere”, “dividere-con”
Ciò detto, occorre rilevare che nell’odierna cultura del self made man, intrisa di autonomia e autosufficienza, condividere con gli altri i propri problemi, cioè chiedere aiuto e dichiararsi “bisognosi”, non è affatto semplice. In effetti, sono in molti a pensare che il solo fatto di ricevere aiuti, limiti le nostre qualità personali; è come se la nostra persona divenisse meno valida, inadeguata.
E’ importante sottolineare, invece, che “Condivisione” non significa assistenza unilaterale, né impegno mono-direzionale. È una dinamica intrisa di reciprocità, nella quale l’uno è di aiuto all’altro e viceversa. Non, ovviamente, per una sorta di egoistico do ut des (ti do affinché tu mi dia) né in una costante pesatura del dato e del ricevuto (ti do solo se anche tu mi dai, ti chiedo solo nella misura in cui anche tu mi hai chiesto). Occorre, in sostanza, approdare ad uno spazio di mutuo sostegno, segno di vera fratellanza e familiarità o, come ci piace dire, di “parentela sociale”.
Fa riflettere il fatto che in un percorso di questo tipo facciano maggiormente fatica le persone più agiate, forse perché maggiormente arroccate nella difesa della propria tranquilla autosufficienza. Chi ha bisogno, evidentemente, comprende meglio le necessità degli altri. Riesce ad immedesimarsi meglio6. Una prima indicazione operativa per il lavoro di prossimità, infatti, è iniziare proprio dai contesti meno agiati dove però vi sono già in atto processi di vicinanza e reciproca mutualità. Ciò, ovviamente, non significa che siano contesti “privi di problematiche”, anzi; tuttavia vi si trovano più facilmente tanti positivi germogli sui quali lavorare e, forse, una maggiore disponibilità personale a mettersi in gioco.
Input e suggerimenti
A ben vedere, per favorire l’innesco del circuito della mutualità, può essere utile capovolgere l’assioma secondo il quale “Chi è più motivato inizia con l’aiutare gli altri”. Proponiamo, piuttosto, il contrario e cioè che “Chi è più forte, consapevole, disponibile a mettersi in gioco inizi a chiedere aiuto”.
Un altro canale mediante il quale iniziare a rompere il ghiaccio tra le persone, può essere quello della condivisione delle gioie, cioè proporre momenti di festa e di convivialità tali da favorire l’incontro e la vicinanza emotiva. Si tratta di una modalità di facile realizzazione che evita lo “stallo relazionale” che, in genere, emerge tra persone che non si conoscono, favorendo gradualmente lo sviluppo di una certa confidenza, fino ad attivare la connessione emotiva condivisa di cui abbiamo parlato sopra e, quindi, ad innescare la condivisione dei bisogni.
Ancora, un’ulteriore soluzione può essere quella di “impegnarsi insieme” a favore di terzi o del bene comune, cioè di condividere le competenze per il perseguimento di un obiettivo di solidarietà (accompagnare un anziano nel disbrigo di qualche faccenda, dare una mano ad una famiglia in difficoltà, etc.) o di pubblica utilità (dalla costruzione del presepe parrocchiale, alla pulizia dei giardinetti di quartiere).
Un’ultima ipotesi può essere quella di innescare relazioni a partire dalla condivisione delle passioni e degli interessi, come l’arte, la cultura, la natura, lo sport, la cucina, etc. Si tratta di ottimi veicoli da gestire con un chiaro approccio relazionale, onde evitare che si trasformino nella mera fruizione di “servizi di hobbistica”.
Editing dell’articolo a cura di Monica Vacca
Note:
5. Buttiglione Antonella, Dimensione relazionale della promozione dell’accoglienza, in www.progettofamiglia.org/forum/viewtopic.php?t=17#p88 (14.8.2017).
6. A questo proposito, un quesito stimolante, da porre agli operatori sociali, potrebbe essere il seguente: Quando i “poveri” si mettono insieme, fanno una più grande povertà o attivano nuova ricchezza?
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