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Lavoro sociale di comunità e percorsi di reticolazione - Parte III
Riattivare la solidarietà comunitaria: promuovere le relazioni. Natural aggregator e nuovi cortili.
Percorsi di avvio della condivisione
Chiarito l’approccio da mettere in campo, soffermiamoci nella sintetica presentazione di alcuni esempi di percorsi, appurando fin da subito che non v’è attività che possa sortire effetti positivi in mancanza delle persone giuste. Il primo ingrediente per avviare in modo efficace l’innesco di nuove relazioni, infatti, è la presenza di persone facilitatrici di relazione, i “natural aggregator”. Si tratta di persone che, dotate di una buona capacità relazionale, sono chiamate ad impegnarsi nel lavoro di “reticolazione relazionale”, cioè a fare in modo che ciascuna persona coinvolta in una certa attività, man mano, conosca tutte le altre.
Venendo alle concrete azioni realizzabili, un primo gruppo di attività è quello che possiamo definire “genitori insieme”. Si tratta di iniziative che partono dall’assunto che la genitorialità è una condizione che genera un bisogno diffuso e tale da tenere efficacemente insieme le persone. Del resto, coloro che si trovano ad avere figli in età scolare sono quasi “obbligati” (o, più delicatamente, potremmo dire “aiutati”) ad aprirsi a nuove relazioni in virtù delle esigenze educative, di cura e di socializzazione dei loro bambini.
«Il più delle volte un abbraccio è staccare un pezzettino da sé per donarlo all’altro, affinché possa continuare il cammino meno solo»
Mutualita’ e sostegno
Numerose interessanti esperienze dimostrano che si genera molta più interazione tra i genitori laddove vengono organizzati dei percorsi ad hoc. Per far partire, ad esempio, l’accompagnamento dei bambini a scuola, il baby-parking mattutino e altre forme di aiuto reciproco, sarà opportuno mettere in conto alcuni incontri ad hoc con i genitori durante i quali stimolare il confronto sul bisogno di mutualità, lasciando che siano loro ad ideare modi e forme, anche in base alle esigenze e alla possibilità.
Quel che s’è rilevato nelle esperienze già avviate è che, dopo un primo tempo di “tutoraggio”, (in cui un operatore di prossimità accompagna il percorso, promovendolo e facilitandolo) la dinamica procede spontanea e, a determinate condizioni, persiste nel tempo.
Ulteriori iniziative di “vicinanza e mutualità tra genitori” sono quelle che consistono nell’organizzare attività educative condivise, come laboratori ludici, di movimento, teatrali, gastronomici, o momenti ricreativi e di socializzazione come tornei, giochi di gruppo di varia tipologia, etc. Iniziative di questo genere, una volta attivate, si prestano facilmente al coinvolgimento di altri bambini, ragazzi e genitori; si potrebbe addirittura arrivare ad organizzare dei giochi di quartiere o pensare di integrare nelle attività anche i genitori con particolari difficoltà.
Sulla linea di questo esempio possono essere organizzate anche altre attività volte a valorizzare la disponibilità degli anziani del quartiere, proponendogli di impegnare parte del loro tempo per dare una mano alle famiglie con particolari carichi di cura, collaborando nell’accudimento dei bambini o nel disbrigo di commissioni e faccende varie (pagamento di bollette, cura di pratiche burocratiche, etc.).
Verso una prospettiva quotidiana relazionale
Importante non è tanto il “cosa” si organizza ma il “farlo insieme”. Che siano iniziative semplici, quanto efficaci, di “benvenuto” (attivate quando una persona o una famiglia viene a vivere nel quartiere o, anche, quando si verifica una nuova nascita) oppure iniziative che tentano di “sfruttare”, per fini relazionali, gli strumenti che la tecnologia offre (l’invio periodico di una newsletter di quartiere o la creazione di App quale, ad esempio, quella di “Nuovi Cortili”, sviluppata da alcune associazioni familiari come Progetto Famiglia, Associazione Insieme, etc. che permette di condividere contatti, inviti, bisogni e disponibilità tra le persone del medesimo territorio, con una modalità “monitorata e accompagnata” da una realtà del luogo).
Mille altre iniziative possono germogliare dalla fantasia della prossimità. Ciò che conta non è tanto l’aspetto organizzativo dei singoli progetti ma l’aver ben chiaro l’approccio con cui procedono e il fine relazionale verso cui si muovono. Il rischio, infatti, è quello di organizzare iniziative “apparentemente relazionali” la cui realizzazione assorbe tante energie ma non determinano alcuna ricaduta relazionale positiva. Si può invece, con grande efficacia, valorizzare ogni aspetto della vita ordinaria del contesto locale caratterizzandola in chiave relazionale.
Verso “nuovi cortili”: progetti condivisi
È bene chiarire che tutto quanto sopra si riferisce a percorsi che mettono in contatto le persone nell’ordinarietà della vita quotidiana e che non sempre sono proponibili in situazioni caratterizzate da complesse forme di disagio sociale, con gravissime difficoltà o con fenomeni di devianza; pertanto, non richiedono il possesso di particolari competenze sociali o psicopedagogiche: molte delle iniziative elencate non comportano neanche il coinvolgimento di esperti o l’attivazione di servizi particolarmente strutturati. Questo, però, non significa che non occorra organizzarsi, anzi è necessaria una esplicita progettualità, che esprima una precisa intenzionalità e che si traduca in un programma chiaro e condiviso.
Ferma restando la necessaria “dose di libertà e spontaneità”, senza la quale una relazione non può essere tale, e sottolineando che non si può certamente “diventare amici su comando”, occorre dire che nella maggior parte dei casi le relazioni e le amicizie si attivano in presenza di un contesto favorente. Ed è questo contesto l’oggetto del nostro impegno. Ciò che si intende fare è offrire occasioni “calde”, di vicinanza, che aiutino a “sciogliere il ghiaccio”. Il resto, cioè lo sviluppo di una effettiva relazione interpersonale, resta affidata alla libertà dei singoli e si sviluppa in modo assai naturale.
Certo, non tutti coloro che si incontrano divengono tra loro amici, ma questa parzialità è proprio, almeno in parte, l’espressione di quella necessaria libertà senza la quale non si potrebbe neanche parlare di amicizia. Per un’altra parte, invece, è il segno dell’assenza di percorsi effettivamente favorenti, visto che i contesti citati non sempre hanno la caratteristica di essere “grembi caldi” che facilitano le relazioni.
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Se sei interessato a raccontare la tua esperienza o le tue riflessioni di assistente sociale siamo lieti di pubblicare un tuo articolo sul nostro blog. Per maggiori informazioni contatta la dott.ssa Serena Vitale (redazioneblog@progettofamiglia.org)