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Violenza assistita. Come possono intervenire i Servizi sociali? (parte I)
Ruolo attivo dei servizi sociali e contesto sicuro. Maltrattamento diretto o indiretto. Orfani speciali e funzioni di accudimento.
Un contesto sicuro
L’assistente sociale, nell’ambito della violenza assistita, si adopera per agire tempestivamente e poter fornire gli strumenti necessari in grado di permettere al bambino e all’adolescente di vivere in un contesto sicuro capace di contribuire positivamente al loro processo evolutivo.
Violenza assistita e necessità di interventi tempestivi
In Italia la violenza assistita è stata riconosciuta tardivamente tra le forme di maltrattamento minorile.
A tal proposito è importante agire attraverso un ruolo attivo dei Servizi Sociali Territoriali in modo da intervenire tempestivamente per ridurre i rischi e l’impatto che la violenza assistita ha sul minorenne. È necessario tutelare pienamente il diritto di vivere in un contesto familiare che possa rispondere adeguatamente alle esigenze educative e formative.
«I momenti di felicità più belli li viviamo nei nostri sogni. Potremmo insegnare ai bambini a superare un ricordo doloroso per iniziare a sognare. Perché ciò che conta è quello che potrebbe succedere e non quello che è successo»
Cosa si intende con violenza assistita?
In Italia la violenza assistita è stata riconosciuta come forma di maltrattamento sui minori. Una prima definizione del fenomeno ci è pervenuta nel 2003 con il III Congresso del CISMAI – Coordinamento Italiano dei Servizi per il maltrattamento e l’abuso minorile – tenutosi a Firenze e perfezionata poi nel 2005 con l’emanazione delle linee guida e i requisiti minimi degli interventi da attuare.
«Per violenza assistita da minori in abito familiare si intende il fare esperienza da parte del/della bambino/bambina di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuta attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative» [1]
La violenza assistita può essere vissuta in modo differente dal minorenne, infatti può farne esperienza sia in modo diretto, tramite la percezione e la visione di ciò che avviene nel suo nucleo familiare, sia in modo indiretto ovvero quando viene messo a conoscenza delle violenze perpetrate nel nucleo familiare e ne subisce gli effetti.
Violenza assistita in gravidanza: forte rischio per il bambino
Una particolare attenzione deve esser posta sulla connessione tra violenza egravidanza. Il bambino dunque può essere vittima di violenza anche prima dell’evento della nascita. Parliamo di gravidanze di difficile gestione in cui si è evidenziato un forte pericolo per la donna e per il feto.
Normalmente la gravidanza dovrebbe essere un periodo di benessere e tranquillità ma purtroppo si è notato, tramite una corposa valutazione internazionale, che tale legame «non risparmi la donna neppure durante questa fase della vita e anzi che possa iniziare ad inasprirsi proprio in quel periodo» [2].
La violenza maschile infatti può iniziare a manifestarsi in questa fase particolare. La gravidanza rende la donna più concentrata su sé stessa e sul bambino e ciò, per l’uomo che vede la donna con un forte grado di possesso, è motivo di gelosia nei confronti del nascituro che sarà dunque percepito come un oggetto che si interpone tra lui e la donna.
Dati e ricerche condotte sulla violenza assistita
La violenza assistita è tra le forme di maltrattamento familiare più diffuse nel nostro Paese. Secondo una ricerca condotta nel 2015 dal CISMAI, Terre Des Homme, in collaborazione con l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, i dati riportano che su 100.000 minorenni maltrattati in carico ai Servizi sociali, il 19% sono vittime di violenza assistita. In pratica parliamo di 1 bambino su 5 testimone di violenza intra-famigliare. [3]
I numeri però sono senza dubbio più alti se si considerano tutti i casi che non sono stati individuati sul territorio. Il criterio di indagine fu quello di prendere in riferimento come fonte, i dati dei Servizi sociali dei Comuni italiani che rappresentano i servizi locali responsabili della tutela dei bambini.
Inoltre risultano numerosi i minorenni che hanno assistito all’omicidio della propria madre. Parliamo dei c.d.“orfani speciali”, figli del femminicidio, costretti ad affrontare il doppio trauma della perdita della madre e la “perdita” del padre. Secondo una stima dal 2000 al 2014 infatti sono 1600 i minorenni che hanno assistito all’omicidio della propria madre. [4]
Occorre dunque specificare che il genitore che permette ai bambini di assistere a comportamenti violenti da lui messi in atto sul coniuge o su altri figli non adempie alle importanti funzioni di accudimento e di educazione che gli sono affidate.
FONTI
[1] CISMAI, «Bambini che assistono alla violenza domestica,» in III Congresso, Firenze, 2003.
[2] M. A. Gainotti e P. Schiavulli, «Maltrattamenti e violenze in gravidanza: un aspetto sommerso della violenza di genere,» Rivista di sessuologia clinica, p. 38, 2008.
[3] G. Soavi, «Requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da maltrattamento sulle madri,» p. 2, 2017.
[4] A. C. Baldry, «Orfani speciali: Chi sono, dove sono, con chi sono. Conseguenze psicosociali su figlie e figli del femminicidio. Seconda edizione aggiornata con la nuova legge 4 dell'11-01-2018,» Franco Angeli, 2018.
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